Apostrofi di fantascienza 2 – Il capolavoro di George Orwell, che ha consacrato il genere distopico che influenzerà tutta la fantascienza del dopoguerra, è una grande celebrazione dell’amore che ancora oggi ha moltissime cose da dirci. Il messaggio più importante, tuttavia, resta indubbiamente che l’amore vince su tutto o, meglio, che sarà la perdita della nostra umanità a lasciare libero il passo alle tirannie.

Benché la nascita della distopia moderna sia ricondotta a “La macchina del tempo” di H.G. Wells, è con “1984” di George Orwell che il genere letterario assume la sua forma più iconica e compiuta.

La letteratura fantascientifica, fino a quel momento molto vicina al fantasy e dispensatrice di mondi meravigliosi, se non addirittura onirici, in seguito alla devastazione prodotta dalle due guerre mondiali comincia a incarnare le paure di una società tormentata, ormai totalmente consapevole che il rovescio della medaglia del progresso potrebbe essere la nascita di ordini mondiali ingiusti e terribili. Non è un caso che il filone, fino a quel momento imboccato sporadicamente da autori dall’immaginazione particolarmente fervida, verrà invece sfruttato da praticamente tutti coloro che si occupano di fantascienza a partire dalla metà degli anni ’40 e fino a quando non si entrerà nella fase di distensione della Guerra Fredda.
Prendendo il meglio de “Il mondo nuovo” di Aldous Huxley (1932), Orwell immagina un tirannico ordine mondiale che, dopo l’ultima guerra atomica, impone la ripartizione del mondo in tre macroaree perennemente in lotta tra di loro. I delicati equilibri sociopolitici in vigore tra Oceania, Eurasia ed Estasia sono anzi i veri protagonisti di un libro che deve il suo titolo all’inversione degli ultimi due numeri dell’anno in cui l’autore lo scrisse (1948), e incombono come un malvagio tangibile sulla cattività che il protagonista Winston Smith si ostina a chiamare vita. Il trentanovenne, obbligato a una routine angosciante dal comandante supremo del Partito, quel Grande Fratello che ancora oggi stimola l’immaginario collettivo, imboccherà per puro caso e quasi senza rendersene conto un strada di opposizione al regime che fin dai primi passi pare tuttavia destinata a infrangersi contro gli scogli della repressione. Ciò che lo muove, in un mondo in cui è tutto sterile e ricondotto freddamente al rigore morale e all’imposizione politica, è paradossalmente il più umano dei sentimenti, quell’amore nei confronti di una donna incontrata per puro caso che sembra una nota stonata sotto l’asettico sguardo inquisitore del Grande Fratello.

Ecco, “1984” è, in definitiva, proprio un’enorme celebrazione dell’amore, sentimento tanto potente da riuscire a scardinare l’ordine delle cose e in grado, in ultima analisi, di destabilizzare le fondamenta di un ordine che ha fatto della disumanizzazione dei suoi sudditi il proprio punto di forza. I modi inaspettati in cui Winston incontrerà Julia e in cui tale incontro porterà i due sulla strada della dissidenza, dimostrano quanto Orwell ritenga responsabile delle distopie la perdita dell’umanità e non le fredde logiche dei governi che, anzi, potrebbero crollare facilmente sotto i colpi del nostro ritrovato senso di  fratellanza. È la riscoperta dei sentimenti che innesca infatti una catena di eventi potenzialmente in grado di cancellare anche la più rigida delle tirannie, un tema potente e di successo, imprescindibile per molta parte della letteratura fantascientifica e per questo ripreso a stretto giro, con i dovuti distinguo, da opere iconiche come “Fahrenheit 451” di Ray Bradbury nel 1953 o “La svastica sul sole” di Philip K. Dick dieci anni dopo.

La distopia di Orwell è un capolavoro di tecnica narrativa e un passaggio obbligato non solo per gli amanti della letteratura di genere, ma per gli amanti della letteratura in generale, un romanzo che ha ancora oggi moltissime cose da dire e un numero infinito di spunti di riflessione da regalare.
Per tale ragione ha influenzato decine di opere letterarie e cinematografiche, di cui noi vogliamo ricordare la trasposizione “Orwell 1984”, produzione inglese, giustappunto, del 1984 diretta dal Michael Radford regista de “Il Postino” e intimamente fedele al romanzo, di cui traspone non solo i fatti, ma anche i sentimenti, grazie all’interpretazione straordinaria di John Hurt, Suzanna Hamilton e Richard Burton, alla sua ultima apparizione sul grande schermo.