C’è tutto il respiro del Mediterraneo – luoghi, sentimenti, storie – nel nuovo romanzo di Gioacchino Criaco. Tutta la bellezza dei popoli a Sud. Tutta la poesia che può racchiudere un posto dove soffia lo zefiro, il mare è incastonato tra l’orizzonte e il sogno, la montagna è il punto da cui guardare il mondo. Il custode delle parole (Feltrinelli, 2022) è il racconto del passato, del futuro, ma soprattutto del presente. Andrìa e Caterina sono giovani, vivono sulla costa, ai piedi dell’Aspromonte, e lavorano in un call center. Si amano e pensano che il mondo debba essere cambiato ma non sanno come. Nonno Andrìa, invece, custodisce una lingua antica, il grecanico, e con essa tutto un mondo dimenticato, quello della montagna, dove combatte contro le moderne devastazioni. Ma qualcosa nasce nel ragazzo quando le loro vite si intrecciano a quella di Yidir, arrivato dalla Libia, sottratto da lui stesso e Caterina al naufragio di un barcone nello Jonio. Yidir, clandestino, andrà in montagna con il nonno, e questo farà avvicinare anche i due giovani alla montagna, alle proprie stesse radici. Il custode è narrazione contemporanea nei temi e nel linguaggio. La natura devastata, il precariato, lo smarrimento sociale e generazionale, ma pure l’amore, intrecci di popoli, battaglie, speranze. E l’urgenza di recuperare un’identità affogata da globalizzazione, falsi miti, fraintesa modernità. Un’identità da ritrovare dentro le parole, quelle dalle radici antiche, quelle che risuonano forte perché appartengono all’anima.
Il custode, uscito solo pochi mesi fa, è già campione di vendite tanto da essere stato inserito nella Universale economica di Feltrinelli. Un viaggio che continua raggiungendo lettori di tutta Italia. Cosa piace di più ai lettori di questo nuovo romanzo?
Penso piaccia il racconto delle periferie, l’importanza del racconto di tutto quello che non sta al centro, il ribaltamento delle posizioni, i margini, gli ultimi, quelli che sono fuori dal sistema delle competizioni, delle corse concorrenziali, ossia la maggioranza delle persone. Rivedono nel custode la dignità e l’importanza della propria esistenza, della propria esperienza.
Come possiamo ritrovare le parole che sono alla base dell’identità di un popolo? cosa bisognerebbe fare per custodirle?
Le parole identitarie di un popolo le troviamo andando nel cuore di un popolo, cercandole fra le persone, a volte fra quelle più umili, sono piccoli tesori che la gente spesso conserva senza comprenderne l’importanza e le tiene per sé, pensando che a nessuno possano essere utili. Recuperare le parole quindi è una grande opera di ricostruzione del sapere di una civiltà, di una comunità, questo è l’elemento fondamentale di quello che i greci chiamano pame ambrò, andiamo avanti, pame ismia, camminiamo insieme.
Il custode è appunto una storia di identità e di radici, ma pure una storia d’amore e di vicende contemporanee. Andrìa e Caterina lavorano in un call center, emblema delle difficoltà delle nuove generazioni. Il loro amore è a tratti condizionato da tutto ciò. Dove andremo rispetto a questo?
È un racconto di parole antiche, antichissime, ma è anche un racconto di relazioni e soprattutto un racconto dell’attualità, di una quotidianità moderna, è il racconto dell’oggi in tutte le sue sfaccettature, partendo da storie minime, da eventi che non sembrano avere importanza, da contrade di estreme periferie. Un libro di oggi che ci racconta la vita quotidiana con le sue dinamiche economiche e sociali e culturali. Un libro che ci racconta l’oggi, l’oggi di tutti. È un racconto delle dinamiche delle storie d’amore – Andrìa e Sara, Andrìa e Caterina – che condizionano come è normale che sia le loro scelte, le loro vite. I due ragazzi, in particolare, vivono la precarietà distruttiva dei nostri tempi, il call-center ne è l’emblema. L’intero impianto dei diritti dei lavoratori è stato smantellato e non si ricostruisce in poco tempo quello che per nascere ha avuto bisogno di rivendicazioni e lotte. Non abbiamo un mondo operario che, come in Francia, scende in piazza per difendere i propri diritti. Stiamo andando verso una società sempre meno equa, sempre meno governata da garanzie.
Il custode ha una forte dimensione multiculturale, i suoi protagonisti almeno vivono con naturalezza il rapporto con l’immigrato Yadir e si respira la bellezza degli intrecci di popoli differenti. Ma poi così tanto differenti?
È il racconto di una commistione culturale assolutamente attuale. La Calabria è snodo di avventure, sofferenze e speranze. La Calabria è il luogo degli incontri, di chi non ha una patria, di chi in patria non trova una vita serena, la Calabria è la nuova patria di tanti e Roccella, per esempio, ha silenziosamente sostituito Lampedusa.
Oggi l’Italia si presenta come una nazione che nega l’accoglienza, eppure ci sono realtà di integrazione vive e significative al sud come al nord, come si potrebbe far germogliare questi semi?
L’Italia, che è espressione sociale ed economica dell’Occidente, cerca di incanalare i flussi migratori per i propri interessi, a fini egoistici ed economici, prende ciò che gli serve, e vorrebbe poter rimandare indietro ciò che ritiene inutile, a volte addirittura lo ributta in mare. Ecco che la Calabria riscopre la propria antica vocazione e si fa terra di rifugio, barriera contro gli egoismi dell’occidente. La Calabria e tutti i luoghi a sud del mondo dovrebbero cambiare prospettiva, guardarsi in faccia e dire che in fondo noi siamo i “sudici” e siamo la maggioranza e abbiamo una nostra storia e tutti gli strumenti per andare avanti e oltre gli schemi economici del mondo occidentale.
Siamo Oriente e Africa negli enigmi dei volti delle donne a cui apparteniamo, imperi inconquistabili di fascino. Oriente e Africa nei sorrisi aperti dei nostri uomini, compagni di un viaggio millenario che molte volte annaspa fra bene e male. Siamo Oriente e Africa in un futuro che è già stato, e in un passato che ritornerà. Siamo Oriente e Africa nella luce complementare che disegna i profili. Siamo tartarughe nate su sabbie roventi, condannate a tornare. Questo siamo e questo saremo, e non saranno diaspore e giuda a trasformarci, tutti, in creature del tramonto. Questa terra, l’Aspromonte, sa d’Oriente e d’Africa insieme, un profumo che ha intriso la carne, ed è inutile che la scuoino, il suo odore resterà per sempre, dovessero scarnificarla fino al centro del pianeta: anche lì sentirebbero nelle narici l’aroma selvaggio di un corpo che non si arrende, che coverà guerra fino a quando una sola delle nostre parole resisterà. (Da Il custode delle parole)
Gioacchino Criaco è autore di Anime nere, edito da Rubbettino, da cui è stato tratto l’omonimo film di Francesco Munzi, premiato con 9 David di Donatello; con lo stesso editore ha pubblicato Zefira e American Taste. Per Feltrinelli è uscito con Il saltozoppo e La maligredi. Con Rizzoli Lizard, L’ultimo drago d’Aspromonte. I suoi romanzi sono tradotti all’estero.
L’ha ripubblicato su Connessioni.
"Mi piace""Mi piace"