«Eugenio Bennato mi vide ballare tra il pubblico a un suo concerto, a Bologna, dove studiavo, e mi fece salire sul palco. È nata così, in maniera casuale, una collaborazione ormai quasi ventennale. La mia passione per la danza popolare però ha radici antiche, nasce nel paese da dove provengo, Monte Sant’Angelo, nel Gargano, un paese ricco di tradizioni. Lì sin da piccola ho imparato il valore della danza e del canto popolare grazie a mio nonno, Michele Totaro, che era un cantore. Poi ho fatto parte di gruppi locali di musica folk. L’incontro con Eugenio mi ha portato a vivere tutto questo nella dimensione della crescita professionale, con maggiore dedizione, lavoro e studio». Sonia Totaro incarna la forza dirompente della danza popolare. Il ritmo ancestrale del ballo rituale prende forma nelle sue esibizioni dense di energia e sensualità, tra suoni antichi e note contemporanee. Danzatrice, cantante e attrice, riverbera l’anima passionale del Sud. Artista alla costante ricerca di altro e di più, Sonia dà corpo e voce al progetto musicale di Eugenio Bennato, grande e indiscusso trascinatore della musica popolare, e poi segue altre suggestioni e altre strade: nell’ultimo anno, la collaborazione ai dischi di Ra di Spina, Fabio Macagnino e Tammurrianti, e il prossimo debutto in teatro con lo spettacolo È tutta colpa della luna per la regia di Francesco Luongo.

Cos’è per te la danza?

La danza per me è il principale codice di espressione artistica. La danza popolare, in particolare, con i suoi ritmi ipnotici e ciclici, ha la capacità di liberare gli istinti primordiali, di creare attraverso il movimento una connessione tra il cielo e la terra. Quando danzo mi sento nel posto “giusto”, non ho timore dello “sguardo dell’altro”, mi sento profondamente connessa con il mio io interiore, senza preoccuparmi del “fuori”.

Le danze popolari oggi quanta diffusione hanno tra la gente?

La danza popolare oggi si è completamente trasformata. Quando ho cominciato io eravamo in pochissime a danzare, non c’erano ancora le scuole. La danza popolare rimaneva tra la gente, poche danzatrici salivano sul palco. Poi pian piano si è diffusa, anche grazie a Festival, oggi molto noti, come La Notte della Taranta, Kaulonia e Carpino folk festival, e si è trasformata, perché è aumentata via via anche la richiesta di imparare, di rendere questa danza professionale. Dalla piazza è salita sul palco ed è diventata più spettacolare, più sensuale.

Ai tuoi corsi di danza popolare, che riscontri hai?

Ho tenuto vari workshop, sia in Italia che all’estero, ma non amo fare laboratori stabili, perché penso che la danza popolare si possa imparare solo ballandola, quindi faccio workshop brevi, di due o tre giorni, dove io cerco di trasmettere la mia esperienza, il mio modo di ballare. Ogni danzatore ha un approccio diverso, una sua caratteristica, quindi ognuno porta ciò che gli appartiene, non solo la danza in sé, che comunque si è trasformata, non appartiene al passato, appartiene al nostro tempo. Questo vale per la tradizione in generale, non possiamo riproporre le cose dei nostri nonni così come erano, siamo noi la tradizione e così sarà sempre, la tradizione è nel presente.

Foto Giuseppe Burdino

Le tournée con Bennato sono sempre intense, lunghe, vi portano nei luoghi più remoti d’Italia e in tutti i posti del mondo. Come vivi tutto questo?

Le tournée di Eugenio sono sempre state molto ricche di date. I due anni di lockdown hanno prima fermato e poi rallentato questo ritmo, che solo in questi mesi è tornato alla sua intensità. È faticoso trascorrere ore e ore in furgone spostandosi da una parte all’altra dell’Italia, macinando chilometri e chilometri, però quando arrivi sulla piazza e fai il concerto il pubblico ti carica sempre, c’è sempre un bellissimo scambio. Una volta a Teramo, per motivi non dipendenti da noi, il concerto è saltato e alla fine eravamo più stanchi, perché in quella situazione ci era rimasto solo lo stress del viaggio per arrivare nella piazza, invece suonare ti dà quella energia, quella carica e quell’adrenalina che alimentano la forza per dare il massimo e per rimetterti in viaggio verso una nuova tappa.

Hai una bellissima voce, molto espressiva, carica di emozioni. Parliamo di te come cantante.

Nasco come danzatrice popolare e al canto mi sono avvicinata dopo, grazie a Eugenio che mi ha avviato a questa pratica. Per me è un naturale completamento della danza, il canto è corpo, la voce è corpo. Negli anni ho cercato una mia espressione, la mia voce non è canonica, è una voce roca, sporca, così ho cercato di capire i miei limiti e le mie potenzialità. Hanno detto che la mia voce sa di sabbia, io la sento come una voce dura, pugliese. Nelle recenti collaborazioni, ho cantato “Fortuna” e in altre canzoni del disco “Sangu” di Fabio Macagnino. Ho collaborato con i Tammurrianti, percussionisti campani, che hanno un progetto molto interessante in cui mi hanno coinvolto in parti cantate e recitate. Mentre i Ra di Spina sono un gruppo che ho contribuito a far nascere.

Che progetti hai per il futuro?

Nell’immediato, sarò in scena dal 3 al 6 novembre al Teatro Tram di Napoli con lo spettacolo diretto da Luongo, con quest’ultimo e Francesca Barassi. Un viaggio sulle tracce di ciò che rende folli gli uomini e le donne innamorati, attraverso grandi personaggi di autori classici e contemporanei come Medea di Euripide, Assunta Spina di Salvatore di Giacomo e poi gli immortali sonetti di Shakespeare.  Guardando più avanti, da laureanda in antropologia, cerco di interrogarmi sempre sulla direzione in cui andrà la musica popolare e, ampliando in campo, darò spazio a un progetto tutto mio, anche se ancora non ho deciso se privilegiare di più la danza, il canto o la recitazione o, magari, tutti e tre insieme.

Kaulonia Tarantella Festival, foto Domenico Mirigliano (autore anche dell’immagine di copertina)
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