La voce che non può tacere, la coscienza che ha urgenza di parlare, l’indignazione che deve farsi parola. Dall’incanto dei paesaggi aspromontani alle denunce per l’ambiente devastato, dalle riflessioni antropologiche alle nude verità della cronaca. Questo, e molto altro, il lavoro appassionato e vigoroso di Antonio Delfino, l’intera vita spesa a leggere, scrivere, ascoltare, cercare. Mai domo, mai arreso. Come le piante tenaci e ostinate delle sue amate montagne. E la sua voce, libera e controcorrente, ha dato al mondo l’immagine totale di questa terra, scenario di drammi e contraddizioni, ma pure custode inconsapevole di ricchezze dal valore incalcolabile. Dentro di lui tutto l’universo storico, sociale e culturale del sud e quella necessità di dire, di raccontare. (mt.d’)
Antonio Delfino è nato a Platì (RC) nel 1934. Giornalista e scrittore, ha collaborato con importanti quotidiani e periodici nazionali con servizi “originali e graffianti” l’Europeo e Il Giornale. Ha pubblicato: Gente di Calabria, Amo l’Aspromonte, La nave della ‘ndrangheta, Il raglio dell’asino. E’ stato assessore provinciale alla pubblica istruzione e cultura. Tra i riconoscimenti ottenuti, il premio per il giornalismo, intitolato a Domenico Zappone, a Palmi nel 1995. Dal 2018, a dieci anni dalla sua scomparsa, l’associazione culturale platiese “Santa Pulinara” ha istituito il Premio letterario Totò Delfino, organizzato in collaborazione con la famiglia del grande intellettuale scomparso. Nella prima edizione il Premio è stato assegnato a Ilario Ammendolia, nel 2019 a Mimmo Gangemi per la narrativa e a Francesco Bevilacqua per la saggistica. Per loro le opere simboliche realizzate con maestria dal professore Carteri.
Qui il ricordo e le riflessioni di Lucia Catanzariti e Michele Papalia dell’associazione “Santa Pulinara”.
Fondamentale il suo contributo culturale e umano per la Locride
di Lucia Catanzariti – La voglia di emancipazione di un paese come Platì, stanco di essere simbolo della “questione Calabria” passa attraverso una delle figure letterarie e degli uomini più importanti del nostro recente panorama culturale: Totò Delfino, nostro compianto concittadino, finissimo e stimato intellettuale, che tutt’oggi continua a fungere da ponte per il riscatto che Platì merita. Parlare di Totò Delfino per un platiese è sempre motivo di vanto, anzi, per dirla alla paesana “i prejiu”, e più volte ci si chiede come mai, troppo spesso, soprattutto in zona, non venga dato il giusto rilievo e la giusta memoria al suo importante contributo letterario e umano per la Locride. Totò è stato un giornalista ed uno scrittore eccellente, stimato e vicino agli esponenti più di spicco della nostra “intellighenzia”, per questo è nostro dovere e piacere valorizzare l’uomo che effettivamente rappresenta la cultura a Platì. Sì, proprio così, anche Platì, alla stregua di altri paesi, ha un grande scrittore di cui vantarsi, un uomo che tanto ha dato alla nostra terra e che continua ad ispirare tutti gli amanti dell’Aspromonte e dei nostri luoghi in senso ampio. L’obiettivo è tenere una luce accesa su Platì, una luce diversa, che non sia quella della cronaca che certo non ha bisogno di essere ulteriormente alimentata ed alla quale, senza neanche renderci conto, ci siamo addirittura abituati.
Si ripubblichino le sue opere
di Michele Papalia – Sono trascorsi quindici anni da quando La nave della ndrangheta fu dato alle stampe, nel 2005, quindici anni in cui la Calabria che Totò Delfino descrive non pare cambiata affatto: pregiudizio, emigrazione, beghe di palazzo, mafia contro antimafia. Il carico portato da La nave della ndrangheta è un mosaico di ironia e satira, dove tra le righe di un umorismo caricaturale vengono fuori personaggi non protagonisti, invero pedine spostate sulla scacchiera del potere giudiziario e del sistema di informazione. Vi si intravede in quest’opera anche uno sforzo, l’impulso dell’autore a esercitare un impegno civile sentito come vocazione, l’intento di dare una forma alle disordinate vicende della nostra terra. E dal dramma delle vicende umane Delfino salta all’antropologia, l’uso della scrittura come fonte di conoscenza delle nostre radici. Ne e’ esempio il racconto Elogio della capra: «Sono stato allevato con latte di capra, “minda”, “draguna”, “martisa”. Poi arrivò la febbre maltese e si fece ricorso al latte d’asina. Per questo faccio l’elogio della capra, non dimenticando l’asino che considero sempre come un vero fratello. Di latte». Evidentemente era già in gestazione Il raglio dell’asino, pubblicato nel 2008, che insieme a La nave della ndrangheta, a Gente di Calabria e Amo l’Aspromonte costituisce la quaterna delfiniana, gli scritti che di lui maggiormente si conoscono. Ma il noto non per forza coincide con il meglio. E cose ancora migliori Delfino le produsse alla fine degli anni ’80 pur sempre nella forma breve del racconto, il punto più alto sul piano stilistico – a mio parere – in una serie di racconti pubblicati su “Calabria Sconosciuta”, racconti intitolati Le avventure di Massaro Peppe, e oggi quasi dimenticati, per i quali anche Saverio Strati espresse giudizio positivo. È proprio Strati nella prefazione a Gente di Calabria che redige il manifesto di Totò Delfino, il sunto della sua opera: «La scrittura di Delfino è come la tastiera di un pianoforte su cui basta pigiare il dito per sentire una nota musicale; e una nota dopo l’altra nasce la storia corale dentro la quale è dominante l’anima di un popolo, nel bene e nel male… i pregi e i difetti registrati con onesta sincerità da un uomo che crede nei valori della cultura e dell’intelligenza». È giunta l’ora che qualche editore coraggioso faccia il primo passo, l’opera di Totò Delfino merita di essere ripubblicata.