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La Calabria potrebbe presto avere una sua serie TV. Sul progetto, che ha titolo provvisorio “9×21” c’è grande riserbo, ma sappiamo che, grazie al coordinamento di Mimmo Calopresti, Lele Nucera ha già messo insieme grandi professionalità, a cominciare da quella di Bernardo Migliaccio Spina, con il quale si dividerà la regia dei singoli episodi. Le prime scene del pilota avranno l’arduo compito di convincere potenziali produttori a finanziare l’intero progetto e sono state presentate nella sezione “Free Calabria” del Reggio Calabria Film Fest, a Reggio e a Locri.
“9×21” è un progetto indipendente che si sviluppa con l’intenzione di far comprendere alla gente che il cinema di qualità può essere prodotto anche in Calabria e con pochissime risorse a disposizione, per questo ha già raccolto l’assenso di grandi nomi (come Paolo Briguglia, Daniela Fazzolari, Corrado Fortuna, Marco Leonardi, Daniela Marra, Max Mazzotta, Rosa Pianeta, Antonio Tallura…) che hanno costituito una vera e propria commissione etica che vuole trasformarsi nel punto di riferimento ideale per tutti coloro che vogliono fare cinema nella nostra regione. La fotografia è di Demetrio Caracciolo (qui le sue immagini), le musiche è di Francesco Loccisano.
In questo senso il titolo rappresenta una sorta di moltiplicazione a sottrarre rappresentativa non soltanto della trama, ma anche del modo di lavorare della produzione. Il risultato di questa moltiplicazione, infatti, rappresenta sia il tentativo di raccontare una storia che, differentemente da quanto fatto dalle grandi serie TV sul crimine, non vuole mitizzare la criminalità ma far comprendere quanto sia poco conveniente vivere al di fuori della legge, sia il fatto che la squadra artistica assemblata per produrre quest’opera non si sia aggregata con un interesse, ma solo per raggiungere un obiettivo.
Per cercare di comprendere l’importanza della buona riuscita del progetto e come potrebbe riqualificare l’immagine del nostro territorio abbiamo parlato con il suo protagonista, l’attore canadese originario di Mammola Nick Mancuso.

nik mancuso

Quali sono le ragioni che l’hanno spinta ad accettare il suo ruolo?
Essere parte di questo progetto ha per me un significato enorme, perché nonostante la mia partecipazione a centinaia di produzioni cinematografiche è la prima volta che posso recitare in italiano. In un certo senso, questo progetto rappresenta l’evoluzione ideale della mia carriera, che mi ha riportato nella mia terra d’origine con “Bomb! Burning Fantasy”, il docufilm di Matteo Scarfò sulla vita del poeta Gregory Corso, e “Mer Rouge”, il cortometraggio di Alberto Gatto candidato ai David di Donatello. Più in generale, comunque, ritengo che questo progetto sia una testimonianza della volontà di resilienza da parte del cinema italiano, affossato negli ultimi trent’anni dall’avvento delle logiche della televisione commerciale imposte da Silvio Berlusconi e non più in grado, per questa ragione, di far emergere professionalità come Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Ermanno Olmi, Marco Pontecorvo, Francesco Rosi…
Nel lasso di tempo a cui ha fatto riferimento sono stati diversi i tentativi falliti di ritornare al cinema di qualità. Perché il vostro progetto dovrebbe avere maggior successo?
Innanzitutto perché stiamo vivendo un periodo storico ideale a rendere maggiormente efficace questa voglia di riscatto. Con le nuove tecnologie che abbiamo a disposizione, infatti, le distanze con la distribuzione internazionale sono colmate e abbiamo ormai assistito alla “fine degli studios” teorizzata in tempi non sospetti da Frank Mancuso, Amministratore Delegato di Paramount Pictures e MGM a cavallo tra gli anni ’80 e il 2000. Inoltre credo che non ci sia posto migliore del meridione per canalizzare al meglio questo nuovo Rinascimento.
Cosa glielo fa credere?
Anni fa Sofia Loren mi confidò che secondo lei il cinema del futuro sarebbe stato prodotto nei luoghi che avevano subito un lungo periodo di oppressione. E quale territorio, più del nostro, ha dovuto subire imposizioni dall’alto? Non possiamo dimenticare, infatti, che fino a 165 anni fa, il sud Italia, con Napoli in testa, era il cuore pulsante della cultura e dell’arte dell’intera Penisola: eravamo quattro volte più ricchi del nord e, di fatto, la terza area più ricca dell’intera Europa. Questo, almeno, fino a quando non si è concretizzata quella pazza invasione spacciata da liberazione, quell’occupazione armata del meridione con conseguente genocidio che ha voluto riunire tutta la Penisola sotto una stessa bandiera. Nell’arco di pochi anni abbiamo subito un crollo verticale della nostra economia, senza riuscire più a rialzare la testa. Anche i libri di storia hanno raccontato una verità di comodo sbugiardata da pochi autori coraggiosi, come Antonio Ciano o Pino Aprile. Il Regno delle due Sicilie sarebbe dovuto essere un Paese indipendente esattamente come la Scozia, l’Irlanda, il Galles, invece è stato schiacciato sotto il tacco dei Savoia costringendoci a emigrare, a perdere la nostra identità. Oggi dobbiamo ritrovare questa identità attraverso il mondo dell’arte, reclamare i diritti che ci sono stati sottratti riscoprendo così la nostra cultura originaria, la nostra memoria, costruire un futuro migliore.

 

E a questo che faceva riferimento poco fa, parlando di nuovo Rinascimento?
Esatto. Dobbiamo avviare un processo di rinascita che, esattamente come quello del XIV secolo, inizi dal meridione e si diffonda in tutta Europa, ritrovando un’indipendenza che non si trasformi in una scissione dal resto del Vecchio Continente, come quella sbandierata dalla Lega, ma che ci consenta di essere nuovamente uguali e integrati, non sottomessi a un nord che ancora oggi gode delle ricchezze delle nostre miniere, svuotate con il placet degli Inglesi che finanziarono l’Unità d’Italia per mettere le mani sullo zolfo della Sicilia e che hanno le mani sporche del sangue di un milione e mezzo di meridionali assassinati nel silenzio generale.
Anche in questo caso, tuttavia, tentativi di riscattare la posizione del sud Italia ce ne sono stati moltissimi e quasi nessuno è andato a buon fine.
Vero, ma come affermavo in precedenza, oggi abbiamo tutti gli elementi affinché questo desiderio di rinascita si concretizzi, perché gran parte del mondo sta diventando calabrese: grazie alle politiche scellerate degli Stati Uniti, nel ripetersi ciclico della storia, molti stati del Medio Oriente, a cominciare dalla Siria, stanno subendo un processo di spopolamento di massa molto simile a quello sperimentato dalla Calabria due secoli fa. Attraverso il nostro cinema noi invece vogliamo tornare a far dialogare l’arte e la politica, facendole parlare tra loro in maniera integrata in un contesto in cui, invece, a farla da padrona è la dis-integrazione. Dobbiamo sovvertire la tendenza a focalizzare le nostre attenzioni sulle differenze e, nell’ambito delle politiche sociali, prendere esempio dagli USA: loro hanno fatto dell’unione la propria forza e hanno saputo mettere al centro della propria costituzione il popolo, composto da individui uguali e dai diritti inalienabili. Noi, invece, siamo purtroppo ancora molto lontani dal raggiungere questo obiettivo.
Ma ci possiamo avvicinare grazie al mondo dell’arte. Ci può dare un piccolo assaggio di quale sarà la trama che vi aiuterà a diffondere questo messaggio?
Non ho nemmeno letto tutto il copione, quindi non posso anticipare più di tanto. Posso solo dirvi che io interpreterò un boss che subisce un grave lutto che lo annichilirà sia fisicamente sia psicologicamente. Il mio personaggio subirà una vera e propria metamorfosi, un percorso doloroso e dal grande impatto emotivo. So che Lele sta lavorando molto per fare sì che il progetto si realizzi e talenti già coinvolti ne abbiamo da vendere. Ci serve solo un pizzico di aiuto da parte di chi potrà distribuirlo. Non si tratta di un bel sogno, ma di una cosa reale. (Intervista pubblicata sul settimanale Riviera del 11/3/18)

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