È uscito da poche settimane “L’albero di more”, secondo album da solista di Paolo Sofia ispirato a “La maligredi”, ultimo successo letterario di Gioacchino Criaco. La singolare operazione messa in campo dall’ex frontman dei Quartaumentata attinge a piene mani ai suoni, ai profumi e ai sapori della nostra terra, trasformando la musica in un perfetto tour esperienziale della Calabria. Lo straordinario bilanciamento dei suoni e dei tempi musicali risulta così evocativo non solo della vicenda narrata da Criaco nella sua ultima fatica letteraria, del quale pure l’album può risultare una perfetta colonna sonora, ma anche della storia della nostra regione e del nostro modo di essere, una dedica accorata al territorio e che si strugge per le rughe che il tempo ha scavato nel suo volto sofferente. Ad aiutare Paolo nella composizione di un album predestinato a diventare un grande classico della musica contemporanea calabrese un parterre di artisti locali e nazionali che hanno aiutato il nostro a limare le spigolosità di un lavoro che, per sua stessa ammissione, non sarebbe potuto esistere se non nella sua dimensione collettiva: dal produttore artistico Mujura all’attore Fabrizio Ferracane, dal virtuoso della chitarra battente Francesco Loccisano al rappresentante internazionale della nostra musica etnica Mimmo Cavallaro, per non dimenticare le voci di Valentina Balistreri e Marco De Leo, tutti sono stati tasselli indispensabili a migliorare la già ricca esperienza che ci aveva offerto “Il navigante del 3000”. Ma per cercare di comprendere meglio cosa abbia fatto scattare la molla della creatività e quali siano le difficoltà incontrate nel tradurre in musica i temi narrati in un romanzo abbiamo parlato con Paolo di questo suo nuovo e affascinante lavoro.

Paolo Sofia con Gioacchino Criaco

Come nasce l’idea di trarre una produzione musicale da un’opera letteraria?
Gioacchino Criaco mi ha mandato il libro. Iniziai subito a leggerlo, e man mano che leggevo, prendevo appunti mettendo in musica le frasi che mi venivano suggerite dal racconto dell’autore, trasformando così le suggestioni in testi da cantare con le melodie che allo stesso modo venivano fuori durante la lettura del romanzo.
Emigranti, gelsominaie, amore e smarrimento generazionale sono i temi portanti del romanzo di Criaco. Narrare questo genere di argomenti, soprattutto se incasellati in un contesto storico particolare come quello della Calabria post bellica, deve essere stato complicato già in prosa. Quali sono le difficoltà che hai incontrato nel tentativo di raccontare le stesse cose attraverso la musica?
Più che le difficoltà, mi sono rimasti impressi i punti di forza di questa operazione. Sicuramente il modo di scrivere di Gioacchino mi ha aiutato molto, infatti ritengo che questo lavoro sia stato fatto a quattro mani. Gioacchino riesce a trasmettere suggestioni molto forti, al punto tale da farti sentire addirittura odori, profumi e suoni di tutto quello che racconta; mettiamoci anche molta ispirazione da parte mia e un po’ di esperienza e il gioco è fatto.

Sofia durante la presentazione dell’album a Siderno

Qual è stata la prima reazione di Criaco quando gli hai parlato del tuo progetto e come ha contribuito alla sua realizzazione?
Quando ho terminato di leggere il primo capitolo ,“I figli del vento”, scrissi a Gioacchino dicendo quali erano state le mie impressioni, e che mi ero trovato di fronte a un’opera incredibile. Gli dissi pure che, durante la lettura, erano nate delle canzoni e che gli avrei fatto sentire al più presto qualcosa. E così, quando mandai la prima canzone, “U trenu”, a Gioacchino, mi rispose che aveva apprezzato tantissimo e che ero molto ispirato. Dopo qualche giorno scrissi “Nicolino” e lui, dopo aver ascoltato il provino fatto solo con la chitarra, mi rispose che lo avevo commosso. Così continuai a leggere e a scrivere e, una dopo un’altra, sono nate sei canzoni che ho realizzato con l’aiuto de “I SonAsud”, Pino Vivace, Giovanni Japichino, Carmelo Colaianni e Mattia Spezzano, bravissimi musicisti con i quali ancora oggi ci ritroviamo per fare musica in quel di Milano. Altre idee sono emerse poi grazie alla preziosa collaborazione del mio amico e grande musicista Salvatore Gullace, con il quale collaboro da più di venti anni. Le ultime due canzoni composte, invece, sono ispirate a due testi di Gioacchino Criaco, “L’Aspromonte “ e “Animi Niri”. Ricollegandomi a quanto dicevo prima, quindi, devo dire che non ho avuto alcuna difficoltà a scrivere questo album!

Mujura

Hai appena accennato al fatto che il tuo album si avvale della collaborazione di tanti artisti locali e nazionali, ognuno in grado di dare un suo personale contributo alla realizzazione dell’opera. Qual è stato il valore aggiunto che questi artisti sono stati in grado di dare al tuo lavoro e cosa non avresti mai pensato di trattare (o avresti trattato diversamente) se avessi lavorato da solo?
Non amo lavorare da solo, mi annoio. Mi piace stare solo nel momento della composizione ma preferisco coinvolgere sempre le persone con cui sono in contatto sotto il profilo musicale che possono far parte di un mio progetto. Mi sento un po’ come il pittore che, quando progetta una nuova opera, sa già quali colori utilizzare. Quando ci siamo incontrati con il produttore del disco, Giuseppe Marasco, gli dissi che avrei voluto come produttore artistico Mujura proprio perché sapevo che il suo modo di arrangiare era perfetto per il nostro progetto. Con Mujura abbiamo poi scelto una serie di strumenti, di suoni, di musicisti e di voci per realizzare l’album.
“L’albero di more” arriva tre anni dopo il tuo album di esordio da solista. Com’è cambiato il tuo approccio nella produzione dei nuovi brani e cosa ti ha insegnato “Il navigante del 3000” che hai potuto applicare nello sviluppo di questa tua seconda opera?
Beh, la prima esperienza da solista è stata bellissima. Ho lavorato con delle persone stupende, Maurizio Albanese e Dario Zema in primis, con il quale abbiamo prodotto anche diversi video; gli arrangiamenti li abbiamo fatti insieme a Emanuele Triglia, talentuoso e giovane musicista. Quel disco ha una sua storia per la quale sono grato alla coproduzione della “Tanto di Cappello Production” e, anche in quel caso, si è trattato di un progetto realizzato con altri musicisti che, invece, non rientrano nei sound di quest’ultimo! “L’albero di more” ha un suono molto più potente, che sa di terra, di mare, di sofferenze, di poesia, di rabbia! Due esperienze bellissime, ma assai diverse tra loro!

Paolo Sofia e Marco De Leo