Il sogno americano esiste ancora? Io dico che, sì, esiste ancora. L’America ha un livello economico non paragonabile all’Europa, ma per alcuni versi su tante altre cose mi sono dovuto ricredere, non è vero in assoluto che qui si viva meglio. Però qui c’è ancora la possibilità di costruire e portare avanti un progetto tuo, con più spazi e opportunità che in qualunque altro luogo del mondo. Questo è il sogno americano, nulla di regalato, ma qualcosa di possibile.
Dopo aver fatto per un po’ avanti e indietro, da un continente all’altro, sui set tra Europa e USA, da un anno ha preso casa a Los Angeles. Giuseppe Futia, calabrese di Siderno (RC), attore e modello, immagine solare e sguardo magnetico, studia alla prestigiosa Stella Adler Academy of Acting nella città “degli angeli”, proprio lì dove Hollywood campeggia imponente nella sua insegna celeberrima, negli studios leggendari e nei sogni degli artisti di tutto il mondo. Studia e lavora Giuseppe Futia: Samsung, San Pellegrino, Kappa, Fila, alcune delle recenti campagne pubblicitarie in foto e video che lo hanno visto protagonista. «Mi piace molto quando sul set si scherza e si fanno battute, quando si crea un clima di allegria e complicità. In un clima divertente si raggiungono i risultati migliori. Hit the target, dicono gli americani, devi colpire il bersaglio, e questo voglio». In videochiamata su skype attraversa l’Oceano la verve di Giuseppe, e anche la nostalgia per la sua città sulla costa jonica, dove è cominciato il sogno. Sulle tavole del palcoscenico.
Come è andata? «Ero ancora piccolo, mi sentivo come annoiato, cercavo qualcosa di più… e ho incontrato Bernardo Migliaccio Spina, LocriTeatro. Mi si è aperto un mondo. Con lui ho partecipato a una originale trasposizione di Nozze di sangue e, via via, a tanti altri spettacoli. A lui devo tantissimo. Bernardo non è un classico maestro, ti dice di leggere, di guardare oltre, di capire. Mi ha sempre detto: “Prendi qualcosa da ogni persona che incontri”. E così ho fatto e continuo a fare, osservando me stesso e il mondo. Lui e Vincenzo Muià, docente di recitazione, sono stati fondamentali per la mia formazione. Spero di tornare presto a fare teatro, mi manca moltissimo».
Ora i tuoi maestri oltreoceano quali sono? «Tim McNeil è quello che ti insegna come costruire il personaggio partendo dalle sfumature; con Elia Schneider, regista venezuelana candidata all’Oscar, ho seguito invece un corso di recitazione come ascoltatore poiché era in spagnolo. Come studente c’è pure Mark Ruffalo dell’Incredibile Hulk e la Saga degli Avengers». E poi c’è Los Angeles con tutte le sue sfaccettature. «In questa incredibile città si vede bene la differenza tra chi vuole e insegue il glamour, il successo patinato, e chi vuole veramente “fare”. In questo anno ho avuto modo di chiarirmi le idee. Uno parte da una cittadina piccola per fare cinema, tv, poi arrivi qui e in un certo senso ti scontri con la realtà, con le difficoltà, con le salite, ma il bello è che questo non ti scoraggia, anzi ti dà grinta. Qui quello che non sai e che devi imparare non è un motivo per abbattersi, al contrario si trasforma in caparbietà, in forza. Ti dai un programma, magari di sei mesi, dici devo migliorare in questo e quest’altro e se non ce la fai… ricominci e riprogrammi tutto. Non c’è una scusa, se ti piace fare qualcosa quello è, e per quello devi studiare senza stancarti. Non è facile avere ogni giorno energie e grinta a mille, ma c’è una linea ferma: ho un obiettivo, lavoriamo!».
Esiste ancora il sogno americano? «Bella domanda. Ti rispondo con le parole di mio nonno: America esti ccà, indicando la testa! Lui c’è stato negli anni Cinquanta, ha fatto un’esperienza, è tornato. Io dico che, sì, il sogno esiste ancora, l’America ha un livello economico non paragonabile all’Europa, ma per alcuni versi su tante altre cose mi sono dovuto ricredere, non è vero in assoluto che qui si viva meglio. Però qui c’è ancora la possibilità di costruire e portare avanti un progetto tuo, con più spazi e opportunità che in qualunque altro luogo del mondo. Questo è il sogno americano, nulla di regalato, ma qualcosa di possibile».
Come hai trascorso il lockdown? «Ne ho risentito quando hanno chiuso pure le palestre. La mia routine era quella: lavoro, scuola e palestra. Dopo la scuola hanno chiuso la palestra e mi sono ritrovato costretto in casa, da solo. Mi sono allenato alla cyclette, ho letto tanti libri e guardato tanti film. Bisognava far passare il tempo».
Ormai leggi in inglese? «Leggo in inglese, anche per allenarmi alla lingua. A volte mi capita pure di pensare in inglese. Ma, lo confesso, la maggior parte delle volte penso in calabrese e se, durante la giornata, mi capita davanti qualcuno non tanto carino lo mando pure a quel paese in calabrese».
Come vinci i momenti di nostalgia? «Quando mi prende la nostalgia metto Mina a palla, Mina e Rino Gaetano più di tutti. Ormai i miei vicini li conoscono benissimo. Quando vedo le immagini di Siderno, il mare, la spiaggia, cosa vuoi pensare? Quella è casa. E in tutto il mondo non c’è nessun posto come casa».