di Giulia Perri
È finita, la pandemia, o forse non è finita. Di sicuro non è finito il senso di fatica, la tristezza, la malinconia, l’aggressività, la voglia di rivalsa. Durante il lockdown, si diceva, saremo migliori di prima. Non è andata proprio così: l’ansia, la tristezza, lo stress della pandemia, la paura della malattia, le persone che ci hanno lasciato, la paura del futuro ci hanno fatto sentire impotenti di fronte a quanto è accaduto e ci sta succedendo oggi. Ci siamo trovati isolati e, finiti i lockdown, molti hanno continuato a tenere “l’altro” lontano. Hanno abbandonato amicizie e conoscenze. Quando “hanno aperto le gabbie”, i casi sono diminuiti, ci siamo guardati intorno pensando che finalmente eravamo di nuovo liberi, pronti a iniziare una vita nuova, ritrovare noi stessi e il nostro mondo. L’economia che riprendeva, “dai ce la facciamo”. Poi la guerra in Ucraina ci ha raggelato, il caro bollette, il caro vita ci hanno dato un’altra “botta”, ingigantendo il senso di incertezza, l’angoscia. L’ansia la fa da padrona e i comportamenti asociali o aggressivi sono all’ordine del giorno.
Insomma, la situazione non è certo delle più rosee. Non ci basta più vivere in un paese bellissimo, per farci stare meglio. Abbiamo parlato di questa tematica – molto delicata – con il professor Salvatore Toti Licata, socioterapeuta, esperto di dinamiche sociali, psicologiche, processi formativi e coaching sistemico, dal 1988 opera nella formazione psico-sociale con supporto ai bisogni delle persone e delle organizzazioni. È titolare dello Studio SINERGIE. Socio fondatore di SAM (Soluzioni Aziendali Meneghine) srl, ha vissuto oltre dieci anni a Catanzaro e ha operato a Isola di Capo Rizzuto, occupandosi di cyberbullismo. A lui abbiamo chiesto se questo senso di fatica si può considerarla una malattia come la sindrome da fatica cronica o è il sintomo di un malessere più generale? E poi, cosa possiamo fare? Nessuno di noi vuole rimanere in questo stato d’animo così precario e negativo. Sentiamo cosa ci ha risposto: «Questo senso di fatica è sintomo di un malessere generalizzato, che riguarda gli adolescenti, i giovani e gli adulti, che in teoria hanno più strumenti per affrontare la situazione in cui ci siamo trovati a vivere rispetto all’adolescente, che è ancora in fase di formazione, crescita e alla ricerca di un’identità. Ci troviamo di fronte a un Mondo Nuovo, quello post pandemia, in cui il senso di realtà è saltato, ognuno tende a proteggersi in una propria bolla di irrealtà, sia che si viva da soli che si viva in famiglia. In questa realtà, sembra regnare il caos: in psicologia, la chiamiamo “entropia”, cioè la quantità di incertezza e disordine che esiste all’interno di un “sistema”».
Questo spiega il senso di “fatica” sociale che si è diffuso?
In parte: avvertiamo ansia, un senso di smarrimento, sono saltati i pochi riferimenti che avevamo, abbiamo paura, ci sentiamo impotenti. Questo mix di sensazioni e stati d’animo determina spesso la mancanza di controllo su sé stessi e gli altri, conflitti e aggressività…
In effetti, l’aumento dell’aggressività gratuita lo riscontriamo tutti i giorni anche se è “di moda” parlare della gentilezza, di soft skills…
L’importante è avere una rinnovata consapevolezza di quello che accade dentro di noi, non rimuovere il problema e coltivare le relazioni interpersonali…
Questo è un aspetto molto interessante: molte persone, invece, hanno messo fra sé e gli altri ben più del “distanziamento sociale”…
L’attenzione ai rapporti è fondamentale, per abbattere le distanze sociali, almeno quelle non necessarie! Certo, dobbiamo accettare che le relazioni sono profondamente cambiate e imparare, approfittando delle difficoltà poste da questo momento storico, a distinguere tra le diverse relazioni che possono coinvolgere gli affetti, i sentimenti, l’amore o essere semplici relazioni amicali. Questo è possibile, in psicologia, attraverso a un giusto “mix” tra empatia ed entropia, per capire e riordinare le relazioni, tra scelte e decisioni, anche accantonando, per quanto possibile, le aspettative e gli investimenti eccessivi, dal punto di vista emotivo, sull’altro.
Ci sta facendo capire che ci si può “allenare” a essere empatici…?
Se vogliamo utilizzare una parola che ha a che fare con lo sport, certo! Dobbiamo allenare la nostra capacità di ascolto dell’altro, così da poter mettere in atto l’empatia. Uno dei modi è quello di comportarsi con gentilezza, secondo quelle che una volta venivano definite le “buone maniere”, che impediscono a pensieri e sensazioni di venire in superficie, facendo del male inutile all’altro. E poi, può sembrare banale ma non lo è: sorridere, sorridere sempre, anche quando non ne abbiamo proprio voglia. L’attitudine positiva richiama positività e la positività ci aiuta a gestire la rabbia che coviamo dentro di noi. Poco per volta ci accorgeremo che la rabbia e l’ansia ci fanno male e fanno male agli altri e che è preferibile andare oltre.
Ha dei consigli pratici per sentirci meglio e iniziare il cambiamento?
Quello che posso suggerire si basa su concetti semplici, ma difficili da mettere in pratica, perché il cambiamento presuppone una decisione e un iniziale “sforzo”: si dice che sono necessari 21 giorni per cambiare le nostre abitudini… e non sempre è facile. Dobbiamo ritrovare il tempo per noi stessi, scegliere un’attività che ci piace, coltivare i nostri desideri e le nostre passioni, decidere di farlo. Già il decidere ci fa uscire dall’empasse. E poi seguire quello che ci dicono anche i medici: attività motoria, nutrirci bene, idratarsi, riposare. Fondamentale intrecciare nuove relazioni con gli altri, fare selezione tra gli amici (senza esagerare!), fare attività che ci piacciono, dalla lettura al cinema, ai viaggi, alle passeggiate.
In poche parole: vivere e non sopravvivere!
Esatto! E ricordarsi che l’aquilone si alza con il vento contrario e non con quello a favore! Seguiamo il vento contrario, lasciamoci volare!
Il professore Salvatore Toti Licata
L’immagine di copertina è tratta dal docu-film Fuori era primavera di Gabriele Salvatores.