di Rossella Scherl

Jimuel Internet Medics for Life è un’associazione di cooperazione umanitaria la cui mission è “portare la cura dove non c’è”, nata nel 2007 dopo un viaggio del dottor Isidoro Napoli a Manila, al seguito di un gruppo di Suore della Congregazione delle Ancelle Parrocchiali dello Spirito Santo che operavano nelle squatter areas della città. Colpito dalle condizioni di vita inumane di bambini e adulti (in baracche costruite con ogni sorta di materiale, tra immondizia e fogne e cielo aperto, carenti di tutto, cibo e acqua in primis; niente istruzione, a parte per i bambini assistiti dalle suore grazie alle adozioni a distanza; nessun diritto alla salute) al rientro a Marina di Gioiosa Ionica, ha coinvolto un gruppo di amici per trovare una soluzione e provare a dare continuità al servizio medico prestato durante i suoi quasi due mesi di permanenza a Manila.

Con il dottor Francesco Asprea, l’ingegner Giorgio Botta, recentemente scomparso, e Carlo Frascà musicista con la passione per l’informatica, con una connessione Skype, un fonendoscopio digitale costruito da Carlo Frascà e una mini videocamera con cui poter guardare le cavità o la superficie cutanea, vennero avviati i primi due ambulatori teleassistiti a Silang e a Parañaque, nelle Filippine. Nel tempo ne sono stati aperti altri: uno in Indonesia, a Mulot in Kenya, a Kimbondo in RD Congo, in Nigeria, in Biafra.

Importante per l’attività degli ambulatori è stato l’incontro con il Prof. Wonchai, docente di Anatomia dell’Università USTO di Manila, che ha avviato numerosi medici e specializzandi dell’Università filippina alla collaborazione con i Medici di Jimuel, che ha permesso a  questi giovani professionisti filippini, e poi anche ad alcuni Medici del Kenia, di seguire uno Stage presso l’Università di Pisa, grazie a delle borse di studio offerte dall’associazione ARPA.

Anche se in Italia è riconosciuto il diritto alla salute, il 6 agosto 2017, a Riace, è stato inaugurato un ambulatorio di medicina di base e specialità mediche (pediatria, ginecologia, cardiologia, endocrinologia, gastroenterologia, dermatologia, odontoiatria),  per dare risposta alla difficoltà di un numero sempre crescente di cittadini di accedere a cure mediche per motivi economici, diventando punto di riferimento per le vicine comunità di Camini, Stignano, Monasterace, Caulonia e soprattutto per l’entroterra da sempre penalizzato dalla mancanza di un sistema di trasporti adeguato. Tutto questo grazie al contributo finanziario di un’azienda privata e a decine di medici che, gratuitamente, hanno messo la propria professionalità al servizio della mission di Jimuel.

Ne parliamo con il dottor Isidoro Napoli.

Dottore, cosa ha provato la prima volta che ha guardato negli occhi un bambino degli squatter?

Sono ricordi e sensazioni difficili da cancellare. Le disastrose condizioni ambientali dei luoghi, non corrispondevano all’allegria ed al sorriso di quei bambini. Sembravano i bambini più felici del mondo. E forse, così mi piace sperare, lo erano.

Ricorda il suo primo paziente a Manila?

Non potrò mai dimenticarlo. Era un bimbo di circa quattro anni. Si era autonominato mia guida nello squatter e, per il tempo che rimasi in quel luogo, ogni mattina mi veniva ad accogliere all’arrivo, mi portava in giro nelle baracche e la sera mi riaccompagnava alla macchina. Si chiamava Jimuel, dalla unione dei nomi della sua mamma e del suo papà, Jenina e Manuel.

Tra le tante storie di vita incontrate in questi anni, qual è quella che l’ha più toccata intimamente.

Sicuramente la vicenda di Erlando. Era un bambino di 6/7 anni. Proveniva dall’isola più grande, più povera e più conflittuale dell’arcipelago delle Filippine, l’isola di Mindanao. Nessuno ha mai saputo come, un bimbo così piccolo, fosse riuscito a raggiungere Manila. Arrivò alla Missione e le Suore, dopo avere verificato che non aveva nessuno, lo accolsero nella loro casa. Aveva una Neurofibromatosi di  Recklinghausen, una malattia che provoca la formazione di fibromi a carico dei nervi periferici. Erlando ne aveva uno a carico del nervo oftalmico a sviluppo endocranico. Doveva essere urgentemente operato. All’Ospedale Bambin Gesù di Roma, da noi consultato, avevano deciso di assumersi tutti gli oneri derivanti dal trasferimento in Italia, ricovero, intervento, ecc. Ma le autorità Filippine non davano il permesso di traferire il Bambino in Italia. Fu in quella occasione che conoscemmo il Professore Wonchai. Grazie al suo intervento realizzammo un teleconsulto, in videoconferenza tra il Neurochirurgo della USTO di Manila, il chirurgo Oftalmico del Bambin Gesù il nostro pediatra, il dr. Mammì dell’Ospedale di Locri, e si decise l’intervento. Dopo alcune trattative con il Direttore della USTO, raggiungemmo l’accordo che le spese dell’intervento sarebbero state a carico della associazione Jimuel, e la cifra sarebbe stata equivalente al costo del biglietto aereo che avremmo dovuto sopportare se avessimo trasferito Erlando in Italia. L’intervento andò benissimo. Un primo esempio, quindici anni fa, di telemedicina. La storia di Erlando è poi continuata. Due anni fa, gli è stata amputata una gamba, sempre a causa di un gigantesco neurinoma.

Grazie a Jimuel e alla comunità di base San Paolo fuori le mura di Roma è stato possibile aprire un corridoio umanitario Roma – Kabul per i Cittadini afgani di etnia Hazara. Cinque famiglie di profughi sono ospiti di Riace. Cosa l’ha colpita incontrandole?

Non so darmi una spiegazione, ma è lo sguardo, soprattutto quello delle bambine e dei bambini, carico di gioia e luminoso, che mi colpisce sempre. Forse, se quella parte di nostri connazionali che guardano ai rifugiati con la paura dell’invasione barbarica, si soffermassero a guardare questi esseri umani negli occhi, quella paura credo che sparirebbe.

Dostoevskij fa dire al principe Miškin che la bellezza salverà il mondo. Cosa gli farebbe dire Isidoro Napoli?

Dostoevskij, il mio autore preferito. Ma io, forse, sono solo capace di leggerlo. Quello che posso dire, da appassionato delle neuroscienze, è che nel nostro cervello ci sono dei circuiti neuronali che si attivano nelle condizioni di piacere. Ci sono degli studi scientifici che mostrano come questi circuiti si attivano quando si pratica la solidarietà. Bisognerebbe provare a sentire la gioia immensa che si prova, quando si fa sorridere un bambino. Per parafrasare Dostoevskij, potrei dire che la solidarietà salverà il mondo.

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