Peripazzie: Epistolario matto/6 di Rossella Scherl
Caro Antonio,
ho visto il film. È un capolavoro, ma che fatica non distrarre l’attenzione dallo scorrere dei fotogrammi. Lo dovevo a Totò e a Pier Paolo che, non lo ha chiesto, ma si aspetta gli dia le mie impressioni.
Sono forgiato a volontà e disciplina, solo per questo, ho avuto la meglio sulla commozione. Al tuo primo apparire, là, sulla strada, mi ha preso un nodo alla gola, la consapevolezza improvvisa di una mancanza, di un mai detto. Ecco perché, appena a casa, mi sono chiuso nello studio e ho preso carta e penna.
Sei uno dei pochi veri amici che la vita mi ha regalato da quando ragazzini bazzicavamo i vicoli del rione Sanità. Ci siamo subito riconosciuti, appartenevamo alla stessa razza, un marchio sui documenti e il teatro nel sangue. Ci siamo confidati speranze, dubbi, aspirazioni. Tutto é andato ben oltre ogni nostra più rosea previsione di celebrità: Totò ed Eduardo. Siamo diventati due scognomati, come diresti tu, affini anche in questo.
Lo so che stai pensando chissà ‘sto stupido dove vuole arrivare. Devi avere pazienza, sono un drammaturgo, se non parto dal primo atto, non sono capace di scrivere il secondo.
Atto secondo. Ti ricordi la prima volta che ci siamo dati appuntamento davanti al San Ferdinando? Ci frequentavamo da poco. Quella sera ero di umore nero per un torto subito dal capocomico. Ti aspettavo, mani in tasca e occhi a terra, tormentando con la punta della scarpa un tappo di sughero, e non ti ho visto arrivare. Tu invece, passo passo, avevi avuto tutto il tempo di osservare, capire. Mi hai chiesto se avevo una sigaretta, ho alzato la testa ed eravamo faccia a faccia. La sigaretta non l’avevo, non fumavo ancora e tu lo sapevi. Ti ho dato l’unica cosa che avevo in tasca, un pezzo di pane sereticcio, oggetto di scena. Lo prendesti con due dita, lo annusasti con quella mimica parlante che tieni solo tu e continuasti la recita anche dopo averlo portato alla bocca. Stavi assaporando la più squisita delle sfogliatelle. Questo è quello che ho visto. Che talento trasfigurare la miseria!
C’era la Luna piena proprio sopra la tua testa. Mentre ti osservavo, pensai che qualunque cosa avresti toccato sarebbe diventata incantata, eri come una luce che miracolosamente assume le fattezze di una creatura irreale che ha facoltà di rompere, spezzettare e far cadere a terra i suoi gesti e raccoglierli poi per ricomporli di nuovo, e assomigliare a tutti noi, e che va e viene, viene e va, e poi torna sulla Luna da dove è discesa.*
Ed eccoci arrivati al terzo atto. Cosa dirò a Pier Paolo? Basterà una parola sola, un semplice grazie, stringendogli le mani e guardandolo negli occhi. Capirà, perché quello che hai appena letto nel secondo atto, a lui lo avevo già raccontato.
Tuo,
Eduardo
* Dal ricordo di Eduardo De Filippo, pubblicato su Paese Sera (aprile 1967), dopo la morte di Totò.