Capita a volte che qualcuno lamenti le esagerazioni di un autore nel comporre le sue trame, ma proprio quando si crede che la fantasia abbia preso ormai il sopravvento, si scopre che la più estrema immaginazione umana viene sorpassata dalla realtà di tutti i giorni che riesce a far suoi fatti che in quanto a complessità e improbabilità superano qualsiasi travisamento

(Domenico Talia, Brevi finestre)

Quasi duecento scritti di una pagina al massimo, momenti di quotidiano che si fanno riflessione sulla vita e sull’uomo. Domenico Talia con Brevi finestre (Il Seme Bianco, 2020) attraversa con acume intellettuale, grande sensibilità ed elegante narrare fatti “minimi” e, al tempo stesso, universali, per una riflessione con sé stesso e con i lettori. Senza giudizi, senza moralismi, solo con la voglia di osservare il mondo e la sua complessità senza prevenzioni né retorica. Di Domenico Talia, docente di informatica all’Università della Calabria, già conosciamo e apprezziamo i suoi racconti (segnaliamo la raccolta Il sole e il sangue, edito da Ensamble nel 2014, e Il colore del cielo e altre ipotesi, Rubbettino 2017), la passione per la scrittura unita alla grande capacità di divulgare temi scientifici conquistando un pubblico vasto, anche con traduzioni all’estero. Citiamo La società calcolabile e i Big Data (Rubbettino 2018) e, di prossima uscita, L’impero dell’algoritmo, un volume che introduce e discute il ruolo degli algoritmi nel nostro mondo e che dovrebbe essere pubblicato in primavera dall’editore Rubbettino. Abbiamo avuto il piacere di parlare con lui del suo libro di note e di alcuni argomenti legati ai temi del libro.

Come possiamo definire le Brevi finestre? Sono note che prendono spunto da piccoli eventi, piccole annotazioni per far diventare quell’evento, quel momento, quella parola, qualcosa di più importante, dare attraverso la riflessione una dimensione più ampia. Non c’è alcun intento di scrivere delle note morali, anzi c’è il tentativo di guardare da lontano. Schegge, approfondimenti sintetici, come fare una foto e poi guardarla per cercare di scorgervi qualcosa che nel momento in cui l’hai scattata non hai avuto modo di cogliere, per focalizzare i dettagli.

Crede esistano altre forme di vita? I fisici fanno un calcolo molto semplice, quasi banale, però realistico, ed è questo: noi siamo sul pianeta Terra che fa parte del sistema solare. Da qui riusciamo quindi a osservare una parte dell’universo, dopo di che i fisici hanno ipotizzato che, se pure l’universo non fosse infinito, è comunque di un’enorme grandezza con miliardi di miliardi di stelle e di pianeti. Allora se noi sappiamo che, nella parte conosciuta dell’universo, esistono gli esseri umani, e che questa è una parte estremamente piccola, allora perché in altre parti al momento sconosciute non ci dovrebbe essere vita? Se c’è vita qua, con la stessa probabilità ci può essere vita da qualche altra parte. Potrebbe trattarsi di forme di vita diverse dalla nostra ma è altamente probabile che ci siano. Se noi siamo qui, da qualche altra parte ci sarà qualcun altro.

Sono riflessioni da leggere e rileggere. Sono un invito a tornarci su. E toccano molte questioni aperte, nate con l’uomo, potremmo dire. Il senso della vita, il domani del mondo e dell’umanità. Per esempio, il pensiero sull’universo, sul fatto che un giorno molto probabilmente sarà privo di esseri umani. Prima o poi il sole esploderà. Come sono scomparsi i dinosauri, potrebbero scomparire anche gli uomini. Non siamo immortali come specie. Già l’epidemia ci ha portato a misurarci con questo pensiero. Non è detto che l’universo sia fatto per l’uomo. Noi, come esseri umani, ci sentiamo al centro di tutto, ma non è scontato che sia così.

Quando sono nate? Le “brevi finestre” le ho sempre scritte e continuo a scriverle. Queste pubblicate nel libro hanno la particolarità di aver seguito il filo dell’arco temporale di un anno, dal primo gennaio al 31 dicembre, sono infatti divise per mesi. All’inizio c’è una nota per ogni giorno, almeno per i primi tre o quattro mesi, dopo non sono riuscito a mantenere il ritmo della quotidianità ma comunque ho scritto con regolarità fino a fine anno. Era un modo per dire: a fine giornata cosa mi rimane? Qual è l’elemento che posso conservare oggi? Le ho scritte a penna, in un block notes, con l’obiettivo di riassumere tutto al massimo in una pagina. A fine pagina mettevo il punto e mi accorgevo che comunque si potevano ritenere concluse, mi accorgevo che il pensiero già partiva in qualche modo calibrato per essere espresso in quello spazio.

Poi parla del valore del caso. Un dato giorno, un dato momento, determinante nella nostra vita. Non il fato, ma il caso. C’è qualcosa di superiore, che possiamo chiamare Dio o natura, e noi ne facciamo parte, ma la rappresentazione che abbiamo fatto di questo essere superiore non la condivido. A questo non credo. Se penso a un aldilà non immagino l’inferno e il paradiso, ma posso pensare che in qualche modo tutto si conserva, nulla perisce. Emanuele Severino, nella sua teoria dell’eterno, dice che mentre noi riteniamo di essere tutti transitori, ma in realtà tutto è eterno, tutto rimane. È molto interessante perché di fatto lui sostiene che noi non scompariamo, ma dobbiamo spostare il pensiero dal vedersi come centro del tutto al pensarsi come parte del tutto. Quello che rimane è qualcosa del nostro essere. Quindi cosa chiamiamo caso? Chiamiamo caso qualcosa che non riusciamo a spiegarci. Incontri una persona, quella persona l’hai incontrata perché sei uscito e pure l’altra persona è uscita. Dietro l’incontro c’è il fatto che due persone hanno deciso di uscire, allora il caso lo chiamiamo così perché non lo controlliamo ma di fatto è legato a una serie di “regole”, di eventi, che qualcuno determina. E non è detto che sia il divino. Potrebbe essere una mente superiore. Tutto avviene così nel mondo, perché esistono delle regole, delle volontà e non per caso. Certo abbiamo difficoltà ad accettare qualcosa del genere, che qualcuno ci governi al di là del nostro libero arbitrio.

L’immagine di un futuro possibile è quella dal grande sviluppo tecnologico. La sua riflessione su questo ci porta a visualizzare un futuro in cui non ci saranno macchine umanizzate, bensì uomini robotizzati, androidi. Sì l’uomo diventerà “artificiale”. Secoli fa gli occhiali, oggi comuni, erano un oggetto alieno. Ora ci sono parti bioniche che vengono inserite nel corpo delle persone. L’artificiale sta entrando nei nostri corpi. È stato sempre così, ma va via via sempre più aumentando. Oggi c’è anche chi sta investendo molti, moltissimi soldi nel post-umano, credendo nella possibilità di un essere che non è esattamente quello creato dalla natura, con l’obiettivo finale di sconfiggere la morte. Ai tanti scettici mi permetto di far notare che primo volo aereo dei fratelli Wright è durato lo spazio di circa duecento metri, eppure quel loro primo volo ci ha permesso di arrivare sulla luna. Oggi si ricorre all’ibernazione, a cifre altissime, così i pochi che se lo possono permettere, oltre a pensare di poter sconfiggere la fine materiale, mostrano il loro potere. In gioco quindi non c’è solo il rapporto con la morte, ma pure il rapporto con il potere e l’affermazione di esso, decidere di fare cose che non tutti possono fare.

Siamo nel primo mese del tanto atteso 2021, visto come speranza di superamento della pandemia. Nelle Brevi finestre si parla di nuovo anno e di messaggi benauguranti. È un rito? Gli auguri nascono dalla nostra mancanza di conoscenza del futuro, ci auguriamo che le cose vadano bene ma siamo di fronte all’ignoto, e non possiamo che augurarci il meglio, questo è l’obiettivo dell’augurio. Proviamo a farci gli auguri, sperando che le cose migliorino. Ma nessun elemento ci dice che sarà così. Noi nel caso del 2021 ce lo auguriamo e pensiamo davvero che possa essere un anno migliore del 2020 che è stato terribile. Il vaccino aiuterà molto, ma non sarà la soluzione di tutto. Questa situazione ce la porteremo dietro per un po’ di anni. Noi vorremmo sparisse prima possibile, vogliamo crederci ma dobbiamo essere anche realisti. La pandemia è una sfida alla vita umana, la vinci solo se torni all’umano, la cosa più importante che noi abbiamo. In un mondo dominato dal capitalismo la cosa più importante appare essere il denaro, ma non è così. Non vedo però che si stia facendo questo, non vedo emergere molta umanità.

Domenico Talia ci regala una Breve finestra inedita

La pandemia che stiamo vivendo ha velocemente cambiato molte cose. La nostra vita quotidiana è stata sconvolta, il lavoro è cambiato e i rapporti tra le persone limitati e spezzati dalla paura della diffusione del virus. Ognuno prova a reagire come può a questi cambiamenti repentini. L’inerzia delle persone condiziona il loro agire. Alcuni sono capaci di adattarsi velocemente ai mutamenti, altri mostrano una maggiore inerzia che li porta a resistere al cambiamento necessario per evitare il virus, per sopravvivere. È stata la fisica con Galileo Galilei e poi con Isacco Newton a definire l’inerzia come un principio per il quale “ogni corpo persevera nel suo stato di quiete o di moto a meno che non sia costretto a mutare quello stato da forze impresse”. Fino ad allora si credeva che i corpi tendessero a stare fermi (così la pensava anche Aristotele). Invece i corpi tendono a rimanere nello stato in cui si trovano (anche se stanno correndo), se una forza non li disturba. La nostra capacità di gestire la forza del virus è proporzionale alla capacità che abbiamo nel limitare la nostra inerzia e adattarci alla nuova situazione. Altrimenti rischiamo. Anche la vita.