Francesco Perri raccontò in presa diretta le vicende oggi narrate da Scurati 

di Giulia Perri*

Nelle prime pagine di M. Il figlio del secolo, con assoluta maestria, Antonio Scurati fa riemergere dal passato la Milano cupa e sordida del 1919, i vicoli umidi dove oggi c’è il salotto buono della città, scenografia sciagurata in cui si muovono i primi fascisti e in cui arriva Francesco Perri, appena congedato dal fronte, per collaborare con L’Italia del Popolo, il giornale repubblicano fondato da Giuseppe Mazzini nel 1857, i battenti riaperti da pochi giorni.

Nell’Italia post bellica, violenta e pericolosa, con il monarca saldo in sella, ci voleva coraggio a dichiararsi repubblicani. Anti istituzionali per definizione. Ma non eversivi, come invece erano gli arditi di cui si circondava Mussolini nel suo ufficio a pochi passi dalla sede del giornale.

Scurati racconta di un’umanità tragica e allo sbando, relitti di una guerra combattuta per lo più da povera gente ignara, tornata incattivita. Non si parlava, allora, di stress post traumatico: ma quanti di quei ragazzi intabarrati in poveri cappotti scuri, che erano stati mandati – corpo speciale degli arditi – oltre le prime linee a sgozzare il nemico con un sibilo silenzioso del coltello nel buio della notte, potevano riprendere una vita “normale”?

Narra Scurati in quale clima siano velocemente maturati i fatti che Francesco Perri – invece – raccontò da cronista, poche ore dopo esserne stato spettatore, diretto e inorridito.

Il 15 aprile 1919, racconta Scurati, «Milano trattiene il fiato» in un clima teso: ci si aspettava qualcosa, «fin dalla mezzanotte i tramvieri e le squadre notturne non hanno ripreso il lavoro». L’intera città era paralizzata, dalla periferia al centro. Negozi e locali chiusi in tutta fretta. Chiuse le banche, barrato il municipio. Un corteo di socialisti e operai, gente semplice che pensava fosse arrivato il momento del riscatto, le donne con i figli in prima fila, transitò davanti al Palazzo dei Giureconsulti, antica sede di giustizia e ingiustizie, diretto verso Piazza del Duomo.

Un doppio cordone di carabinieri divideva i manifestanti dagli arditi, fascisti, fuoriusciti, che scalpitavano, aizzati dal poeta futurista Tommaso Marinetti, che li incitava abbarbicato al leone del monumento tuttora all’imbocco della piazza. Marinetti urlava anche ai borghesi, che affrettavano il passo a testa bassa, di non essere passivi spettatori degli eventi. Ma loro preferivano farlo in modo elegante, finanziando, senza mescolarsi a quegli scalmanati.

Ad un tratto i carabinieri si fecero di lato e i due gruppi si trovarono faccia a faccia. Francesco Perri si trovava in una loggia della Camera di Commercio «che dà direttamente su Via Mercanti» e vide i fascisti che «sparavano contro un innocente gruppo di socialisti reduci da un comizio tenuto all’Arena; e ciò con la presenza e la collaborazione dei rappresentanti dell’ordine pubblico». Così denunciava sul giornale il mattino dopo. Gli arditi rincorsero i manifestanti in fuga, pistole in pugno. Molti erano rimasti caduti sul selciato. In silenzio, con la calma dell’abitudine, e qui racconta Scurati, gli arditi, si aggiravano tra loro e li finivano, pam. Un orrore.

Compiuta l’opera, i fascisti si riversarono in Via San Damiano, il naviglio che scorreva putrido a cielo aperto, per devastare la sede dell’Avanti!, organo del partito socialista, di cui Mussolini era stato amatissimo direttore fino a pochi anni prima.

Lo dice bene Scurati: «Dopo che hai sbaragliato il nemico, incendi la sua casa». Mussolini non aveva dato l’ordine preciso, ma gongolò soddisfatto. Francesco Perri, il giorno dopo raccontò sulle pagine dell’Italia del Popolo che il prefetto aveva fatto «affiggere un manifesto nel quale negava la partecipazione della forza pubblica a quella clamorosa violenza». Poco prima che il giornale venisse stampato, Francesco Perri ci dice anche che Mussolini, preoccupato delle imminenti elezioni a cui voleva candidarsi «nella lista degli ex combattenti», aveva ordinato al segretario del fascio di andare alla sede dei reduci per convincerli che il manifesto del Prefetto era veritiero. Ma «fu vituperato e smentito da tanti di noi, che avevamo conoscenza diretta dell’episodio», che alla fine «dovette scappare via per non essere preso a pedate», raccontò Perri.

Si trattava di una Milano piccola, dove tutti si conoscevano. Ma alcuni si incontravano senza salutarsi più: alcune amicizie nate al fronte non ressero all’urto degli eventi: sia Mussolini che Marinetti avevano conosciuto Francesco Perri al fronte, tanto da avere scritto parole di apprezzamento per il suo poemetto Rapsodia di Caporetto, pubblicato pochi mesi prima. Ma la solidarietà di trincea aveva lasciato spazio al disprezzo: un uomo non lo misuri solo al fronte, ma una volta tornato.

C’è chi si smarrisce per strada, chi perde la testa. Qualcuno, però, non si era perso ma sfruttava lo sbando degli altri per i propri interessi, con violenza e sopraffazione: Perri non poteva più ricordare Mussolini come un commilitone, un vecchio “amico”, per reggere al tempo l’amicizia richiede coerenza, che a Mussolini è mancata, per cinico calcolo e istintiva volontà di potere.

Il merito di Francesco Perri è stato di avere raccontato in presa diretta quello che accadeva, senza avere timore di opporsi al futuro duce, al regime che sapeva (era tra i pochissimi a denunciarlo) si sarebbe ineluttabilmente insediato e sarebbe costato agli italiani la perdita della libertà e – ben presto – una nuova carneficina.

Scurati ha il grande merito di avere reso attuale e vivente un passato, che è parte vibrante della nostra memoria, con cui non abbiamo ancora fatto i conti. Lo ha fatto affiancando la narrazione storica a quella artistica, offrendoci il destro di andare a riscoprire le parole di chi c’era e ha puntato il dito, pagandone un caro prezzo: la perdita del lavoro, la costrizione al silenzio, apparentemente chinando il capo. In realtà, Francesco Perri avrebbe continuato a tessere una fitta trama di rapporti con altri personaggi contrari al fascismo con un unico obiettivo: riconquistare la libertà e per ricostruire il Paese, dopo la disfatta della seconda guerra mondiale.

*Giulia Perri, nipote di Francesco Perri, è autrice del saggio Francesco Perri – Un repubblicano per la libertà (Rubbettino, 2008)

Immagine di copertina: Dottori, Ritratto di Duce, 1933