Peripazzie: Epistolario matto/2 di Rossella Scherl

Caro Ulisse,

la regina è forte, resiste. Per quanto ancora? Tesso e disfo da anni il sudario di Laerte, mi aggrappo disperata al filo per frenare la pressione dei pretendenti. Scopriranno l’inganno prima o poi. Temo quel momento? Non lo so più, inizio a vacillare. Non principia forse questo mio parlarti con un “Caro Ulisse” invece di “Amato sposo” come ero solita rivolgermi a te nei miei pensieri? Mi sta sfiancando l’attesa priva di notizie sulla tua sorte. Ogni volta che avvisto una nave all’orizzonte il cuore impazzisce nella speranza che a bordo ci sia tu e mando un servo agli attracchi perché sia lì al momento dello sbarco, così che correndo avanti a te possa avvisarmi, per darmi il tempo di prepararmi all’incontro. Torna il servo ogni volta scuotendo il capo e mi ferma il respiro. Ma che nessuno se ne accorga. La regina è una roccia. Avessi la certezza della tua morte, potrei affogare il dolore nelle lacrime, potrei rassegnarmi al mai più rivederti, avrebbe prima o poi fine il tumulto che mi battaglia in petto. Dei dell’Olimpo! La regina ha tempra forgiata nell’arte dell’attesa, resiste, ma lontana da ogni sguardo e dagli occhi amorevoli della fedele Euriclea, nel segreto delle sue stanze non più sovrana, né madre, semplicemente Penelope, rischia di impazzire. È donna che si strappa le vesti sul letto testimone dei nostri abbracci. Per anni ho continuato a sentire le tue carezze, mi accompagnavano alla soglia del sonno. Le ritrovavo nei sogni, rassicuranti sul tuo destino, sul tuo amore. Poi, caduta Troia, quando già giungevano notizie dei primi re tornati alle loro terre, con l’andare dei mesi il talamo, notte dopo notte sempre più freddo, è scivolato in un inverno perenne che si è portato via il calore delle tue mani e sognarti s’è mutato in incubi. Incubi di te tra le braccia di donne bellissime, ammaliatrici, giovani vergini. Incubi da cui mi risvegliavo gemendo, col viso bagnato di pianto. Più mi raffrontavo a loro, più vedevo sfiorita la giovane sposa che ero stata e ho desiderato essere ancora desiderata. Ho tremato quando si presentarono in casa i primi pretendenti, temendo di non riuscire a nascondere il segreto compiacimento della mia vanità femminile. Nei sogni ritrovai le tue mani, il tuo corpo, ma s’andavano confondendo con le mani e i corpi dei giovani principi, in un risveglio dei sensi che durante il giorno tenevo a bada vestendo la corazza di madre e regina. Fu ubriacatura d’una sola stagione poi le notti sono tornate fredde, gravate da un ricordo annebbiato dei tuoi tratti amati. Avevo perso dettagli che non sono più riuscita a ritrovare. Se mi comparissi davanti senza pronunciare il tuo nome, temo che non ti riconoscerei. E tu, mi riconosceresti? Cos’hai serbato di me, di noi? Ecco che Aurora tinge il cielo di rosa, ponendo fine a un’altra notte insonne. Il palazzo si desta, le ancelle busseranno alla mia porta, Penelope ritornerà regina un altro giorno ancora.

(In copertina Penelope e i pretendenti, John William Waterhouse – 1912)

Penelope 2 (1)