Peripazzie: Epistolario matto/1 di Rossella Scherl

Caro Theo,

questa mattina, alzandomi, avevo negli occhi una storia colorata di giallo. Girano i petali aperti intorno al cuore scuro per rubare il colore al sole. Vincent esce, va al campo, piazza il cavalletto. Arraffa il giallo, lo infila in un vaso e lo porta a casa. Stasera arriva Theo, si dice. È un regalo per lui. Peccato non abbiano odore di fiori, pensa. Si avvicina alla tela, l’annusa ad occhi chiusi. I girasoli profumano d’altro: di sole e vento, d’aria fresca e del canto di cicale. Vincent si guarda il viso. Ha la barba lunga, incolta. Puzza di colori, ha gli abiti tutti macchiati. È lui stesso una macchia variopinta, poco materica, insieme di tratti che nascono in mille, centomila punti diversi, rimbalzano come schegge, come sull’acqua del porto le luci della notte. Dopo il tramonto, qualcosa lo infastidisce. Si è fissato con la punta dell’orecchio. Aiutami Theo! Ma Theo non è ancora arrivato. Vincent non può farcela da solo, il fastidio è insopportabile, è diventato dolore. Beve. Beve ancora e grida, stringe la testa tra le mani. I girasoli lo abbagliano, arrivano i corvi a coprire il sole e le case di Arles non si specchiano più. Agire, bisogna agire. Tagliare la testa al toro, potare il ramo malato, calpestare la serpe velenosa. Theo, Theo! Aiutami fratello, non resisto. Niente è più al suo posto: le sedie sono rovesciate, il letto è senza materasso, tele ammucchiate sulla branda, le pareti sbrecciate. Vedo i becchi, gialli, come i girasoli. Nella testa ho fiamma viva. Diventeranno più rossi i capelli, avvamperanno anche le guance scarne. Non resisto un altro minuto. Agire, bisogna agire. Tagliare la testa al toro, potare il ramo malato, calpestare la serpe velenosa. Zac! Vola via, come un’ala mozzata, il pezzo inutile. Il rosso liquido spegne il rosso fuoco. Vincent beve. Alla salute, Theo! Oltre la finestra, la luce di un lampione  avvolto dalla nebbia, è luna pallida che non inganna neanche la mia vista che inizia ad appannare. Concentro lo sguardo sulla riga azzurra di un asciugamano bianco appeso ad un chiodo, la dilato in cielo, vi entro da viaggiatore senza passaporto, da cammello. Sarà perché mi ricorda il colore del tuo cappotto. Caro il mio Theo: casa, moglie, cappotto di cammello, un indirizzo a cui scrivere per chiedere. Voglio tornare a casa Theo. Voglio che tu mi faccia dormire con te. La notte non chiudo occhio e di giorno i colori prendono vita, si impossessano delle mie mani, mi fanno fare ciò che vogliono. Sono loro prigioniero. Legami le mani Theo, per favore. Infilami la camicia bianca, legami le mani dietro la schiena e dammi un colpo in testa. Spaccala, che esca la mia ossessione, la mia pittura, che mi fa girare il pennello come l’elica d’una barca per prendere il largo. Devo fermarmi, sento che sto per svenire.

Tuo Vincent

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