Il fotografo Franco Scarpino, l’Università della Calabria e il Parco Nazionale della Sila sono i protagonisti del progetto di recupero del saggio di Armando Lucifero “Mammalia Calabra”, che spiega le caratteristiche dei nostri animali autoctoni. Ma, nell’era del digitale, la ripubblicazione di questo saggio ogni introvabile fa il paio con una mostra fotografica che vuole dare ulteriore impulso al processo di valorizzazione e tutela dei nostri animali autoctoni, che contribuiscono quotidianamente a rendere unica la nostra terra.
Il ritrovato interesse della società contemporanea per il mondo agreste ha posto l’accento sulla necessità di preservare le peculiarità territoriali di ogni zona della nostra variegatissima Penisola. Parte di questa particolarità, oltre che dal microclima e dalla conformazione paesaggistica di ogni area, è dettata anche dalla presenza di specie animali autoctone, che sono al centro di un progetto di salvaguardia e valorizzazione chiamato “Mammalia Calabra”.

Questa iniziativa, realizzata dal fotografo Franco Scarpino e dall’Università della Calabria con il supporto del Parco Nazionale della Sila, consiste nel recupero di un saggio, intitolato appunto “Mammalia Calabra”, che raccoglie una serie di articoli scientifici che il biologo naturalista Armando Lucifero redasse alla fine dell’800 sulla “Rivista di Scienze naturali” e che oggi è di difficile reperimento. Per questa ragione, il testo sarà presto pubblicato in un’edizione digitale reperibile su un portale internet rivolto alle istituzioni e ai cittadini interessati ma, siccome nell’era digitale nulla riesce a comunicare meglio delle immagini, per promuovere l’iniziativa si è deciso di affiancare a questo splendido lavoro una mostra fotografica itinerante che sta riscuotendo un ottimo successo di pubblico.
È qui che entra in gioco Franco Scarpino, i cui scatti sono stati raccolti in quaranta pannelli che illustrano la bellezza del patrimonio zootecnico unico della Calabria attraverso le splendide immagini di dieci razze autoctone rappresentative del nostro territorio: l’Asino Calabrese, il Cane da Pastore della Sila, la Capra dell’Aspromonte, la Capra Nicastrese, la Capra Rustica Calabrese, il Cavallo Calabrese, la Pecora Moscia Calabrese, il Suino Nero d’Aspromonte, il Suino Apulo-calabrese e la Vacca Podolica. Ognuno di questi splendidi animali è stato ritratto per le sue caratteristiche in grado di renderlo unico rispetto alle altre razze autoctone della nostra Penisola e che non solo lo rendono perfettamente integrato nell’habitat naturale calabrese, ma in grado di condizionarlo.

«Senza la presenza della Capra dell’Aspromonte -spiega Scarpino, – durante l’estate il reggino sarebbe molto più soggetto a incendi di quanto non sia oggi. Essa si ciba infatti dei prodotti del sottobosco, ripulendolo dalle sterpaglie, modellando il terreno e, in definitiva, contribuendo al ciclo della vita dei prodotti vegetali».
Caratteristiche che, purtroppo, non vengono monitorate e valorizzate con capillarità dagli enti regionali preposti, a differenza ad esempio di quanto accade in altre regioni d’Italia, dove l’attenzione per le razze autoctone ha già prodotto dettagliati registri anagrafici. La fase di “osservazione” nella quale continuano a sostare i nostri enti non permette infatti un rapido riconoscimento dello status di “razza tipica” a questi animali che, in alcuni casi, rischiano purtroppo di scomparire anche a causa dello scarso interesse che hanno nei loro confronti gli allevatori.
«In un panorama economicamente complicato come quello dell’allevamento italiano – afferma Scarpino, – non mi sento di condannare un allevatore che preferisce tenere nella propria stalla una Vacca Olandese, che gli assicura la produzione di venti litri di latte al giorno, piuttosto che una Podolica nostrana, che pascola allo stato brado in zone marginali e di latte ne produce molto meno. Si tratta di un problema che ci accomuna al mondo dell’agricoltura e che non sarà ovviato fino a quando le istituzioni non prevederanno contributi e agevolazioni per chi sceglie di allevare e tutelare gli animali autoctoni».

Questo ingenera situazioni paradossali come quella della delimitazione del territorio dei Lupi in Aspromonte. Nonostante appartenga proprio al nostro territorio il “cane antilupo” per eccellenza, il Pastore della Sila, molti allevatori e contadini si ostinano infatti ad allontanare il lupo con la violenza mettendo a repentaglio la propria vita e quella dell’animale stesso. Ma nemmeno l’Ente Parco Aspromonte, che va a prendere i cani per delimitare il territorio del lupo in Sicilia, sembra essere a conoscenza che l’impiego del Pastore della Sila sarebbe invece molto più efficace ed economico, come invece hanno compreso al nord Italia e persino in Svizzera, dove questa razza viene allevata ed è sempre più richiesta.

Eppure, lo stato di salute del nostro splendido territorio è strettamente legato allo stato di salute di questi animali, che non a caso sono al centro delle più affascinanti tradizioni della nostra terra e, con il trascorrere dei secoli, sono diventati protagonisti di un allevamento, quello praticato nella nostra splendida Calabria, che ha caratteristiche uniche e che sa perfettamente come adattarsi ancora oggi alle esigenze delle natura. Non è un caso, infatti, se i prodotti derivati dall’allevamento di questi animali ci permetto di sentire i sapori della terra e i profumi delle stagioni e se le nostre vacche podoliche, in alcuni casi, iniziano spontaneamente la transumanza anche senza la presenza degli allevatori che le spingano a spostarsi.

Foto di Franco Scarpino provenienti dalla mostra “Mammalia Calabra”
Intervista a Franco Scarpino e approfondimenti su Riviera
Per ulteriori informazioni visitate il sito Mammalia Calabra