Calabria, Locride, tempi nostri. Rocco (Francesco Pugliese), 14 anni, etnia Rom, aiuta il padre (Lele Nucera) nel lavoro di sfasciacarrozze, non frequenta il liceo ed ha una grande passione per la musica, malvista dal genitore, il quale la considera, al pari dell’istruzione scolastica, un ostacolo al sostegno che il figlio può dare all’economia familiare. Ma Rocco non demorde, coltiva i suoi sogni: ispirato dalla fugace frequentazione del liutaio del paese (Vincenzo Tropepe), così come dalle esortazioni della coetanea Emma Libera (Mary Carnuccio) a prendere parte alla vita scolastica, crea all’interno di una vettura in disarmo una personale isola felice dove inizia a costruire un particolare strumento musicale, la lira calabrese, finché … Scritto e diretto da Lele Nucera, al suo esordio dietro la macchina da presa dopo i felici trascorsi in qualità di attore (ricordo il Globo d’Oro, premio attribuito dalla stampa estera accreditata in Italia, conseguito nel 2002 come Miglior Attore Esordiente per Tornare indietro, film diretto da Renzo Badolisani), Maramandra ha vinto numerosi premi (il più recente dei quali è quello per la Miglior Regia al Fuoricampo-Cinema Giovane Film Fest -Roma) e sorprende per la naturalezza con la quale visualizza, senza alcuna mediazione “estranea” che non sia il filtro della sceneggiatura, la realtà così com’è, mediata dallo sguardo dell’adolescente Rocco, interpretato con bravura da Francesco Pugliese.

Messo da parte tanto il facile compatimento quanto un accondiscendente pietismo, prese le distanze da sbrigative annotazioni sociologiche, il regista semplicemente fa sì che noi spettatori si possa prendere visione e coscienza di quanto, spesso volutamente, ignoriamo, nascosti dietro il dito di facili generalizzazioni. I movimenti di macchina risultano accorti, essenziali, volti a riprendere i luoghi, le persone e circoscrivere determinate situazioni abbracciando un vivido realismo ed un pizzico di mistero (la silente figura del mastro liutaio, interpretato da Vincenzo Tropepe), offrendo dunque risalto alla recitazione “spontanea” profusa dai giovanissimi attori. Rimarchevole, infine, la scorrevolezza narrativa, garantita anche da un montaggio piuttosto serrato (Alberto Gatto) all’interno di una scenografia naturale valorizzata dalla vivida fotografia (Roberto Strangers) che alterna, simbolicamente, tonalità ora luminose ora più scure; fin dai titoli di testa, con un insinuante e metaforico sincrono fra il battere di un martello sulla lamiera e la musica proveniente da una radio, lo sviluppo narrativo segue un andamento quasi musicale, sottolineato dalle avvolgenti ed incisive melodie di Francesco Loccisano, per trovare infine definitiva conclamazione all’interno di un finale volto a creare un concreto e suggestivo legame fra diverse culture e tradizioni, visualizzandone il loro valore nell’offrire un’idea di diversità che abbandona il fin troppo comune significato discriminante, per rappresentare invece una spinta al confronto, alla crescita reciproca e all’aggregazione.
L’ha ribloggato su Sunset Boulevard.
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