Il 26 ottobre si è svolta a Catanzaro la premiazione dei finalisti del Premio Corrado Alvaro.
Al di là della splendida occasione di valorizzare una volta di più il già ricco panorama culturale della nostra terra, il premio ha reso evidente quanto sia importante la figura dello scrittore di San Luca per la nostra regione e, soprattutto, quanto ancora ci sia purtroppo da fare affinché la sua meravigliosa prosa possa essere conosciuta a livello nazionale.
La fondazione Corrado Alvaro da anni si impegna a celebrare e valorizzare al meglio la figura del giornalista e scrittore calabrese, ma l’atavica mancanza di fondi e mezzi sofferta dalle associazioni culturali del nostro Paese costituisce ovviamente un enorme ostacolo al processo che vede l’istituzione cercare di restituire ad Alvaro il posto che merita tra i grandi della letteratura italiana.
Su Riviera, Carmela Rita Serafino ha scritto una bellissima riflessione (che vi invito a recuperare) relativa al perché ricordare la figura di Alvaro sia importante. La lettura di quell’articolo, che descrive sommariamente la cifra stilistica utilizzata nelle proprie opere dall’autore di San Luca, fa inevitabilmente riflettere su quanto crudele sia stato il suo destino.
Ricordato e celebrato negli ambienti culturali, soprattutto regionali, a Corrado Alvaro è stato negato il diritto di essere inserito nei programmi di studio della letteratura italiana a scuola (se non in rare e brevi parentesi di letteratura regionale che ancora ci si ostina ad affrontare in una manciata di licei di provincia), sottraendo non solo a San Luca la possibilità di essere conosciuto per qualcosa di più della sua denominazione di “culla della ‘ndrangheta” che tanto cara è al Ministro dell’Interno Matteo Salvini, ma anche ai nostri giovani una conoscenza più completa del panorama societario nazionale accostandosi a un autore che, per cifra stilistica, stacca di molte lunghezze tanti altri letterati a lui contemporanei.
Benché sia un profondo estimatore della sua opera, infatti, non riesco a vedere alcuna ragione per cui, nelle nostre scuole, si debba continuare a studiare George Orwell in qualità di padre della distopia societaria (1984) dimenticando completamente che Corrado Alvaro la propria disopia (L’uomo è forte) l’aveva pubblicata ben dieci anni prima dello scrittore britannico. Per quanto sia fondamentale sapere chi sia Orwell, davvero dedicargli due ore di lezione nelle nostre scuole deve sottrarre tempo allo studio di un nostro autore? Tanto più che Alvaro è autore di un complesso di opere variegato, che affrontano in maniera lucida e disincantata i tanti aspetti della società calabrese della prima metà del ‘900, permettendoci in ultima analisi di comprendere ancora oggi quali siano le dinamiche che hanno imposto alla Calabria l’arretratezza economico-culturale sofferta. L’autore di San Luca, infatti, non è un semplice “meridionalista”, non si fa portavoce delle difficoltà del sud Italia per denunciare lo stato di minorità nel quale l’Unità ha fatto precipitare questa frazione del Paese, ma narra i drammi della propria terra con l’occhio clinico e distaccato di chi vuole lasciare a noi lettori il giudizio sulle condizioni descritte.

La narrazione asciutta, che descrive la miseria dell’Aspromonte senza pretendere di avere un termine di paragone per renderla maggiormente drammatica (si pensi all’eterna antinomia tra la città e il paese descritti da Saverio Strati in Tibi e Tascia o a quella tra l’Italia e la “merica” presentata da Mimmo Gangemi in La signora di Ellis Island), risulta il modo migliore di raccontare la nostra terra, tanto più che Alvaro si fa promotore di una prosa dal potenziale immaginifico enorme.
Rimanendo al solo Gente in Aspromonte, l’opera alvariana più famosa, che forse più di altre incarna le caratteristiche appena descritte, non possiamo rimanere impassibili dinanzi alla descrizione che Alvaro fa del palazzo dei Mezzatesta attraverso gli occhi del povero Antonello, che culmina con la non scontata e potentissima similitudine utilizzata per descrivere il pane pronto per l’infornata:
“In un angolo era elevato un tettuccio su due trespoli di ferro, coperto d’un candido lenzuolo sotto il quale s’indovinavano le forme del pane fresco appena impastato come una teoria di mammelle tagliate a molte sante martiri.”
E che dire dell’incipit stesso del racconto?
“Non è bella la vita dei pastori in Aspromonte, d’inverno, quando i torbidi torrenti corrono al mare, e la terra sembra navigare sulle acque.”
Un esordio che, con tutto il rispetto per il grande Manzoni, potrebbe insegnare ai nostri ragazzi molto più di decine di rami del lago di Como che volgono a mezzogiorno tra due catene non interrotte di monti…