Formazione, consapevolezza, territorialità, sostenibilità. Queste le parole chiave del convegno dal titolo: Olio Evo tra vulnerabilità ed eccellenza – Il punto di vista delle aziende olearie. Gli agronomi Antonio Fazari ed Emanuele Spada hanno fornito un quadro esaustivo di quello che è il mondo oleario calabrese, lo stato in cui lavorano le aziende olearie in Calabria, le strategie future e i cambiamenti del panorama olivicolo alla luce del marchio IGP Calabria. L’iniziativa, di cui è partner Slow Food – Condotta Locride, è promossa dall’Associazione Don Milani, con il patrocino del Comune e di Giovani di Confagricoltura – Anga Reggio Calabria, realizzata nell’ambito del progetto “La Cultura al Centro… Storico”, ha dato la possibilità di entrare in questo settore in evoluzione, scoprendo quali i punti di forza e quali gli aspetti da migliorare.
«I costi di produzione in un’azienda media arrivano anche a 3.50 euro che davanti ad un prodotto imbottigliato chiaramente aumentano, questo aspetto è da considerare quando si va ad acquistare l’olio. L’olivicoltura regionale – ha affermato Emanuele Spada – come quella nazionale è prettamente tradizionale, alla quale sono stati affiancati nuovi impianti, prediligendo una produzione sostenibile. Ciò che invece non avviene in altri areali del mondo dove l’olivicoltura è partita da poco ed è tutta impostata su nuove tecniche produttive cosa che porta a razionalizzare il lavoro e a far ottenere un prodotto a più bassi costi. In Calabria abbiamo innumerevoli varietà di ulivo che nel corso del tempo si sono adattati così bene al territorio e al clima. Non seguire la strada della territorialità andrà ad incidere in quelle che sono le spese e in quelle che sono le rese. Per armonizzare il tutto bisogna valorizzare l’autoctono, incanalandosi in quella che è una azione educativa del consumatore, ma anche dell’imprenditore che spesso si affida a pratiche arcaiche dettate dalla consuetudine, mentre delegare un tecnico può agevolare la produzione permettendo di farlo in modo più sostenibile e razionale».
Sulla stessa linea Antonio Fazari, il quale ha posto l’accento sull’utilizzo di pratiche arcaiche nelle aziende pensando di fare ciò che facevano i propri avi che operavano in un determinato modo solo con l’obiettivo di garantire la produzione familiare. «Oggi per poter parlare di Igp, per poter parlare di comparto olivicolo regionale si deve andare ben oltre. La Calabria è la seconda regione per produzione di olio, ma non bastano le nozioni che abbiamo incamerato fino ad ora è necessario conoscere la filiera sin dall’inizio. L’olio si fa in campagna, per avere olio buono si devono fare olive buone e la Calabria eccelle in questo, si riesce a produrre un buon frutto ma poi quello che succede nei frantoi è spesso ingestibile. La figura del frantoiano è quella che in Calabria manca di più. La formazione è fondamentale. Seguire nel frantoio delle regole, delle impostazioni fanno la differenza e garantisce una produzione di qualità. Si parla tanto della Spagna paese che produce molto, è vero, ma non fanno qualità e le cultivar sono poco. L’Italia può contare su oltre settecento cultivar differenti. In Calabria ce ne sono tante e la regione deve fare in modo di vendere olio e che sia calabrese, che rispecchi il territorio».
Gli agronomi si sono soffermati sulle strategie future, su quanto sia importante non improvvisarsi, partendo dall’analisi del terreno per capire quale strada intraprendere, potendo contare sulla professionalità di un tecnico perché si possa arrivare prima di ogni altra cosa a vendere non la semplice bottiglia, ma il territorio, olio di Calabria. «La produzione di qualità lo deve essere da tutti i punti di vista – ha continuato Fazari – anche da quello della manodopera utilizzata che non deve essere in nero e poi chiaramente, attenzione massima per l’ambiente. Approcciarsi all’olio extra vergine d’oliva partendo dal prezzo è sbagliato, intanto si deve capire se è commerciale o artigianale, anche se con lo stesso nome il prodotto cambia molto, le sostanze nutritive sono differenti e questo è ciò che un agricoltore deve far capire a chi deve acquistare, l’olio che produce».
Il convegno si è concluso con una degustazione di prodotti tipici e con l’assaggio di due oli, da cultivar ottobratica e da cultivar cassanese. Le differenze, le tecniche di degustazione, dai bicchierini ai metodi di riscaldamento. Il colore sul quale non soffermarsi e che non aggiunge o toglie nulla alla qualità dell’olio, spesso utilizzato per mettere in campo una delle frodi più comuni, aggiungendo clorofilla per indurre il consumatore a credere che sia olio appena franto. Si è continuato con i pregi e i difetti una volta avvicinato al naso. I profumi con tutta la gamma dei verdi dalla foglia di oliva, a quella di pomodoro, all’erba tagliata da poco. Le fermentazioni. La molitura a freddo. La qualità. Il gusto e il modo come assaggiarlo per apprezzarne a pieno le sfumature gusto olfattive, dove l’amaro e il piccante sono pregi per l’olio.