Domenico Logozzo, nato a Gioiosa Jonica (RC), giornalista professionista dal 12 gennaio 1977, è stato capo redattore della sede regionale Rai dell’Abruzzo e capo redattore centrale della Testata giornalistica regionale di Roma. Ha iniziato l’attività professionale in Calabria ed è stato capo redattore de Il Giornale di Calabria, diretto da Piero Ardenti, una straordinaria esperienza editoriale cessata nel 1980. Ha collaborato con Il Corriere dello SportLa Stampa, Corriere della Sera. Giornalista acuto e brillante Mimmo Logozzo oggi scrive per quotidiani regionali e testate estere. Cattura e narra, con penna raffinata e brillante, le belle storie del Sud. 

Come è cambiato il giornalismo negli anni in Italia e, in particolare, in Calabria? Ho iniziato a fare il giornalista quando si usava la “lettera 22”, gli articoli si dettavano per telefono o si inviavano con le foto per posta “fuori-sacco”. Oggi basta una tastiera, uno smartphone o un pc e poi con un clic l’articolo e le foto arrivano in… pagina. Tutto così veloce. Mi ritengo fortunato e sono felice di avere vissuto “da dentro” la trasformazione anche tecnologica del mestiere più bello del mondo. In 50 anni tutto è cambiato. Le nuove tecnologie hanno profondamente influito anche sul mondo dell’informazione. Non solo in Italia e in Calabria, ma anche a livello globale. E, come sempre accade, le novità hanno il doppio volto: più tempestività e purtroppo spesso si riflette di meno. Meno approfondimenti. Con amarezza si deve constatare che ciò va pure a discapito  della corretta informazione. Si legge meno. E purtroppo la crisi dei giornali si fa sempre più grave. Illuminante a questo proposito la riflessione che qualche tempo fa ha fatto su Facebook il collega Roberto Marino, giornalista d’altri tempi, ex direttore del Centro e ancora oggi in prima linea in Calabria con ruoli di responsabilità al Quotidiano del Sud. Ha scritto: Stress, il peggior lavoro del 2017 è quello del giornalista della carta stampata. Lo sostiene una graduatoria Career Cast. Nella valutazione incide molto anche la preoccupazione per lo stipendio   incerto (ci sono testate che hanno accumulato anche cinque mensilità arretrate) e le prospettive. Chi vive davvero nelle redazioni sa di che cosa stiamo parlando: è come sudare, sacrificarsi, lavorare su una nave che da un momento all’altro può affondare. Non siamo i soli, ma rispetto ad altre professioni dove il risveglio economico sta riportando numeri e prospettive cariche di ottimismo, noi ogni giorno viviamo la frustrazione di un declino storico. La carta non sparirà, ci diciamo tra noi per farci coraggio. Certo, un giorno ci si stancherà di tutte queste fake news e magari si riscoprirà il vecchio quotidiano, il problema vero è fare in modo che quel giorno ci siano ancora editori, giornalisti, poligrafici, amministrativi, venditori di pubblicità, edicolanti. Nel frattempo migliaia di giovani colleghi vedono passare gli anni senza avere un minimo di contratto e una retribuzione dignitosa. Quanto talento, quante capacità non convogliate nella direzione della buona informazione. Lo stress è questo e solo questo. Chi ama davvero questo mestiere e l’ha scelto con il cuore e con l’ambizione di poter dare un piccolo contributo a migliorare il mondo, non ha mai contato le ore passate in redazione o a cercare notizie. Sacrosanta verità. Quotidiani che chiudono o che sopravvivono a stento. Editori “puri” che si assottigliano. Non diminuisce però – ed è confortante! – il numero di coraggiosi e onesti giornalisti che si battono per una informazione corretta. E per questo  rischiano la vita. In Calabria ci sono tanti colleghi che vivono sotto scorta. E che non si arrendono. E che raccontando la realtà. Giornalisti scomodi, vecchio modo di fare giornalismo di qualità. Il nuovo e le insidie. Prima la tv, oggi i social, cresce la “gara a chi arriva per primo”. Rischiando di arrivare male. Mi torna alla mente l’ultima lezione di giornalismo, tenuta da Indro Montanelli, all’Università di Torino il 12 maggio del 1997, a proposito della “ricerca a tutti i costi dello scoop”. Aveva detto ai giovani universitari: Se qualcuno di voi vorrà fare questo mestiere, sfugga alla tentazione dello scoop! Ricordate che esso è la scorciatoia dei somari. Consente di arrivare prima, ma male. Il pubblico è uno strano animale, sembra uno che capisce poco ma si ricorda, e se vi giocate la sua fiducia siete perduti. Questa fiducia bisogna conquistarsela seriamente e faticosamente, giorno per giorno. Questo non ci mette al riparo dall’errore, ma impone l’obbligo di denunziare noi stessi, quando ci accorgiamo dell’errore, e di chiedere scusa al lettore. Se volete fare questo mestiere, ricordatevelo bene. È un mestiere che richiede molta umiltà, molta, e il protagonismo è in contrasto con questa legge fondamentale. Un richiamo opportuno in un’epoca come la nostra in cui l’apparenza predomina sulla consistenza e l’efficacia delle riflessioni. E non va bene.

Cosa rimpiange del vecchio giornalismo? Rimpiango certamente le inchieste alla Tommaso Besozzi, un grande cronista purtroppo dimenticato. Nel 1948 con il documentato reportage Africo,emblema della disperazione, pubblicato dall’Europeo, accese i riflettori sulla triste realtà del borgo aspromontano che, scriveva Besozzi,  ebbe come grande protettore  il conte Zanotti Bianco, oggi presidente della Croce Rossa Italiana. I pastori, parlando di lui, quasi ne fanno un personaggio da favola. Dal canto suo Zanotti Bianco, guadagnandosi per prima cosa il confino, fece una relazione coraggiosa che sollevò molto scalpore. E sottolineava: Non si pensi che Africo sia un paese di quattro baite: è un comune di oltre duemila abitanti. E’ un paese di pastori: il più povero, il più triste, il più infelice della Calabria. Eppure quando ci si sta per arrivare e si scorgono da lontano le sue case divise sulle due rigide sponde della gola in fondo alla quale scorre l’Aposcipo, la prima impressione è che sia un paese ridente. La piazzetta sotto la chiesa di Casalnuovo, dove sbocca il sentiero, conferma questa illusione. Appena un passo più in là, i primi segni di una miserabile esistenza bastano a distruggerla. Da Paola in giù, tutti sanno cosa sia “Africo, dimenticata da Dio”, e lo citano come esempio. Purtroppo le “inchieste come una volta” oggi sono sempre di  meno. E se ne avverte -eccome!- la mancanza.

Quali ricordi ha dell’esperienza come giornalista in Calabria e poi fuori? Oltre mezzo secolo di attività professionale, tantissimi ricordi di un mestiere che ho scelto  per amore  quando avevo poco più di 15 anni. Oggi, che di anni ne ho 70, continuo ad avere lo stesso amore e la stessa passione di quando ero ragazzo. Il primo ricordo? Quando nel 1965 ho visto “stampato” sul Corriere dello Sport il mio nome in fondo all’articolo con il quale commentavo la bella impresa della squadra del mio amato paese, Gioiosa Jonica. La squadra biancorossa dalla Terza Categoria era arrivata in Promozione, massimo campionato dilettantistico regionale. La firma sul prestigioso Corriere dello Sport. Il primo sogno si avverava. Era l’inizio del lungo cammino nel mondo dell’informazione regionale e nazionale. Dopo 53 anni, conservo ancora gelosamente la tessera di Corrispondente da Gioiosa Jonica del Corriere dello Sport.

Corrispondente_logozzo

L’esperienza giornalistica calabrese mi ha aiutato molto nella crescita professionale. Una vera scuola di formazione il Giornale di Calabria, diretto da Piero Ardenti. Ho iniziato come corrispondente da Gioiosa Jonica nel 1972, tre anni dopo sono stato assunto come praticante nella redazione di Reggio Calabria, quindi sono stato trasferito nella sede centrale di Piano Lago di Mangone (Cosenza), dove sono stato Redattore, Capo Servizio e infine Capo Redattore. Ricordi? Tanti. La triste stagione dei sequestri di persona, le faide, gli anni di piombo, il sequestro Moro, la nascita dell’Università della Calabria, il porto di Gioia Tauro, il Mig libico “recuperato” nella Sila, l’aeroporto di Lamezia, la crisi industriale: dalla Sir alla Liquichimica di Saline e poi i delitti eccellenti impuniti. Ricordo la notte dell’11 giugno 1980, quando a Rosarno venne ucciso dalla ‘ndrangheta il militante comunista Peppino Valarioti. Alle 2 avevo chiuso in tipografia  la prima pagina del giornale. Dalla rotativa erano già uscite le prime copie, quando ho ricevuto  la telefonata del  corrispondente: Hanno ucciso Valarioti. Ho immediatamente fermato la rotativa. Rivoluzionata la prima pagina. Non è stato semplice, ma sono stati veramente bravi i tipografi del giornale. Non c’erano le moderne tecnologie. Impaginazione e titoli  a  mano , testi composti con la linotype. Quando non c’erano i grandi mezzi ma la grande professionalità!

 

Dell’esperienza giornalistica fuori la Calabria ho tanti momenti indimenticabili tra Torino, Pescara e Roma. Alla Rai di Pescara e all’Abruzzo sono molto legato e grato per tutto quello che ho avuto in termini professionali e umani. Abruzzese d’adozione.Indimenticabile la terribile notte del 6 aprile 2009 quando un fortissimo  terremoto ha seminato morte e distruzione a L’Aquila: 309 morti, 1600 feriti, quasi 8000 sfollati. Ero il Capo Redattore della Sede Regionale per l’Abruzzo. Immediatamente la straordinaria “squadra Rai” abruzzese è entrata in azione. Si è vista in quella occasione la Grande Rai. L’operatore Flavio Massari, che a L’Aquila ha girato subito le prime immagini, ha fatto appena in tempo a trasmetterle a Pescara, prima che crollasse il palazzetto dove c’era il presidio aquilano della Rai. Immagini inviate a RaiNews24 che hanno fatto il giro del mondo. Drammatiche. Hanno commosso la comunità internazionale e hanno fatto scattare la grande gara di solidarietà. Notevole lo sforzo organizzativo della Sede Rai di Pescara. Per la prima volta nella storia trentennale di Rai 3 una sede regionale ha realizzato una diretta no-stop dalla mattina fino alla sera, con continui collegamenti dai luoghi più colpiti, aggiornamenti e soprattutto notizie di servizio per la popolazione. La Rai, Servizio Pubblico. Orgoglioso dell’ultratrentennale esperienza nella più grande azienda culturale d’Europa. Tanti i riconoscimenti professionali che ho sempre voluto condividere con la magnifica “squadra Rai dell’Abruzzo”.

 

 

 

Da profondo conoscitore della nostra terra, dove pensa stia andando la Calabria e il sud in generale? La Calabria purtroppo continua ad arrancare, mentre altre regioni limitrofe del Sud, come la Basilicata, sanno mettere a frutto le loro risorse e sanno proporre progetti di sviluppo. Ricordo gli anni Settanta e i primi anni Ottanta, quando in Calabria si programmava e si decideva. E la Regione aveva un peso a livello nazionale. Ricordo il primo presidente della Giunta Regionale della Calabria, il prof. Antonio Guarasci, morto in un tragico incidente stradale mentre si recava a Roma per sostenere le ragioni della nostra amata Calabria. E’ stato il primo a mettere in atto provvedimenti per la  difesa delle coste, contro la cementificazione selvaggia , contro l’erosione e contro l’inquinamento con la realizzazione dei depuratori. Oggi purtroppo ci sono troppe parole e pochi fatti. C’e’ sfiducia. E quel che è peggio aumenta la rassegnazione. E non deve essere così. Per fortuna che ci sono ancora sindaci illuminati che operano positivamente. I piccoli borghi si fanno notare e fanno conoscere le loro grandi potenzialità. La buona informazione è fondamentale, è necessaria, anzi necessarissima nelle regioni meridionali, dove le forze antisociali condizionano pesantemente  lo sviluppo e vorrebbero sostituirsi allo Stato, con l’incultura della violenza e della illegalità. La cultura della corretta comunicazione deve opporsi. Fortemente. Tenacemente. Per smascherare le connivenze pericolose. Denunciare e proporre. No al  fatalismo, alla rassegnazione, all’assistenzialismo parassitario. Allontanano ancor di più il Sud, la nostra Calabria, dal resto dell’Italia. Colpe dei meridionali avere disperso un certo patrimonio, quindi oggi l’attesa, ha evidenziato qualche anno fa il giurista Stefano Rodotà nel ricevere a Cosenza il “Premio Sila ’49” alla carriera. E poi si era chiesto: C’e’ l’azione politica adeguata? C’e’ la legittimazione forte per dire ma perchè questo piano non va avanti? Guardiamo dalle nostre parti. Non diciamo il Nord è cattivo, non diciamo il Nord si è dimenticato  e tutte queste cose che sono molto consolatorie. E poi un forte invito alla riflessione: Il Mezzogiorno è uscito dall’orizzonte politico non solo perché il Nord si è disinteressato, ma perché le regioni meridionali si sono fatte male da sole. Invito a guardarsi dentro, dunque. E una delle funzioni principali  dei giornali è proprio questa. Scavare dentro le grandi questioni e portare alla luce i mali che impediscono la soluzione dei problemi. Giornalismo d’inchiesta e di denuncia. La Calabria è bella e ha tante meravigliose opportunità per risollevarsi. Ci sono donne e uomini di cultura che si impegnano quotidianamente. Senza clamore. Ma con  amore per la terra natia. E tutto ciò induce all’ottimismo. Ma la classe dirigente deve essere all’altezza della siuazione. Meno venditori di fumo, più gente motivata sulla via della rinascita.

Tornando al giornalismo, cosa possiamo consigliare a un giovanissimo appassionato di questo mestiere? Ti rispondo con Sergio Zavoli: A un giovane che vuole fare il giornalista consiglierei di essere profondamente curioso. Ma anche riguardoso verso la verità, perché la verità è spesso ambigua, incerta, ritrattabile (la Repubblica, 15 febbraio 2018). E con Indro Montanelli: Chi di voi vorrà fare questo mestiere, si ricordi di scegliere il proprio padrone, il lettore. Si metta al suo servizio e parli la sua lingua, non quella dell’accademia. (Ultima lezione di giornalismo all’Università di Torino.12 maggio del 1997). Più chiari di così!

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