Serata di grande impatto culturale quella che si è svolta lo scorso martedì, 24 luglio, ad Ardore Marina (RC), all’interno della suggestiva location dell’ex Lido Ardor: il numeroso pubblico intervenuto ha infatti potuto assistere, restandone tanto ammaliato quanto empaticamente coinvolto, ad una mirabile confluenza fra letteratura e musica, resa dall’incontro tra l’incisiva e coinvolgente narrativa de La maligredi di Gioacchino Criaco (Feltrinelli editore) e L’albero di more, l’inedito progetto musicale di Paolo Sofia, il quale ha attinto dalla suddetta opera per dare vita ad una serie di canzoni ispirate ai suoi personaggi, idonee a renderne le tematiche portanti, attraverso potenti versi e accattivanti melodie.

 

Ecco quindi emergere, fra l’altro, la voglia di riscatto di un Sud ormai stanco di portare la croce del “complesso da riserva indiana”, il rassegnato dolore di un’emigrazione forse imposta dall’alto, la memoria della tradizione quale simbolo di un’innocenza perduta, accompagnata dal sentore di una rivoluzione intesa come sprone a riaffermare la propria determinazione sociale e culturale da parte degli umili e degli oppressi.

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Giuseppe Stilo, Paolo Sofia, Salvatore Gullace

Brani come Lu trenu, Nicolino e le gelsominaie, Com’è bella la lunaL’albero di more, hanno rivelato la trascinante forza cantautoriale di Sofia, accompagnato nell’esibizione da Salvatore Gullace (chitarra) e Giuseppe Stilo (fiati), assecondando sonorità mediterranee e rock/pop. Nel corso della serata, condotta dalla giornalista Maria Teresa D’Agostino, sono intervenuti Rosita Muscatello, assessore alle politiche sociali del Comune di Ardore, promotore dell’evento, Domenico Calabria, presidente del Caffè Letterario Mario La Cava di Bovalino, lo scrittore Gioacchino Criaco, dando vita ad una interessante discussione incentrata sul passato e sul futuro della nostra regione, con più di un invito ad alzare una buona volta la testa, senza demandare quanto ci spetta al solito uomo della provvidenza, abitudine del resto in linea con l’andamento nazionale, o perderci in un compiacimento auto assolutorio. Un’auspicabile rivoluzione la cui drasticità consisterebbe essenzialmente nell’evitare le sabbie mobili del clientelismo e della politica compiacente per riprenderci ciò che è nostro, senza continuare a maledire gli oltraggiosi strali lanciatici contro, solo in parte, da un destino cinico e baro, rimboccandoci definitivamente le maniche per valorizzare con coerenza il nostro territorio, la nostra cultura, il nostro sapere e volere fare.

(Foto Totò Musolino)

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