GianMarco Cellini, psicologo, specialista in psicologia del benessere e dello sport, vive e opera a Lucca e si occupa tra le altre cose di adolescenti e famiglia. Con lui parliamo del nuovo scenario sociale e familiare disegnato dall’avvento dell’era tecnologica.
«La sfida è uscire dall’inganno della predominanza informativa a scapito di quella affettiva».
In quale scenario familiare e sociale si muovono i giovani oggi?
Lo scarto generazionale tra i giovani di oggi e le rispettive famiglie si fa sentire molto di più, in termini di differenza tecnologica, rispetto a quanto poteva accadere negli scorsi decenni. I “millennials”, ovvero i giovani “nativi digitali”, a partire dagli anni 2000, hanno una struttura pratico-mentale per cui ogni tipo di tecnologia è parte integrante della propria esistenza: e non mi riferisco ai soli strumenti tecnologici (computer, smartphon, ecc.) ma anche ogni attività socio-affettiva e ludica mediate da essi. Questa forte interazione con gli strumenti tecnologici, dunque, se da una parte potrebbe permettere di mettere in connessione un numero più consistente di idee e esperienze, dall’altra depaupera sensibilmente la podestà genitoriale. Questa infatti, a partire da un’età sempre più bassa dei figli, relega padri e madri in una posizione di succubanza rispetto a tutte le altre fonti. Il problema che riscontriamo però è che dovremmo parlare solo di predominanza informativa e non certamente affettiva. Mescolare questi due aspetti fondamentali della crescita dei figli significa rendere i genitori una delle tanti fonti e quindi in lotta per essere scelti. Da qui l’inevitabile lotta contro i mulini a vento per apparire migliori dei miliardi di persone che stanno dietro lo schermo dello smartphone…

In che direzione stiamo andando?
Se i genitori non usciranno da questo inganno, perderanno sempre di più la loro autorità senza accorgersi che sono essi stessi che lasciano la possibilità ai propri figli di scegliere la loro fonte principale di crescita. È indubbio che nel momento evolutivo in cui è più alto il rifiuto delle regole, ovvero l’adolescenza, se non c’è quella “calamita affettiva” rappresentata dalla stima e controllo genitoriale, i ragazzi sceglieranno la cosa più semplice, ovvero orientarsi verso fonti e regole a loro più congeniali, ovvero quelle che permetteranno — paradossalmente — l’inosservanza alle regole.
Come può “intervenire” la psicologia del benessere in tutto questo?
Il “malessere psicologico” è quasi considerato, e questo è un grave errore, come una situazione “temporanea” o, peggio ancora, risolvibile perché spesso considerato come una “caratteristiche della propria personalità” e dunque immutabile. Molto spesso sento i miei pazienti raccontarmi aneddoti drammatici della propria vita col sorriso sulla bocca, concludendo che “…non ci posso fare niente, sono fatto così…”, quasi con rassegnazione. Ecco, la Psicologia del Benessere tenta proprio di raggiungere i meandri dell’idea dell’immutabilità, ovvero sensibilizzare le persone al pericolo che un semplice malessere psicologico, affettivo o emotivo, se protratto nel tempo, potrebbe diventare più di un semplice “modo di essere”, ma qualcosa di patologico che, come un mal di denti non curato, potrebbe portare a patologie più serie. Riguardo all’argomento in esame, dobbiamo specificare meglio il concetto di “intervento”. Generalmente un intervento viene attuato quando sussiste un disagio conclamato, che sia richiesto dai genitori ma anche dai figli: se è facile immaginare la difficoltà di una coppia genitoriale a controllare e arginare i comportamenti dei propri figli, non dobbiamo dimenticare che anche i figli possono essere portatori di un disagio, ad esempio quando non si sentono “capiti” dalla famiglia e per questo se ne allontanano. L’intervento in questi casi è auspicabile se la richiesta proviene direttamente dagli interessati, in altre parole non è da considerarsi intervento contenitivo del problema se imposto da terze persone. Diverso è l’approccio all’intervento se questo è ideato e organizzato dalle amministrazioni che organizzato seminari sulla genitorialità aperte al pubblico, in forma gratuita e condotte da professionisti del settore. Un rimedio percorribile potrebbe essere quello di una più attenta e partecipe attività di orientamento e formazione genitoriale, sia attraverso strumenti conoscitivi che attraverso l’istituzione di punti di ascolto per la popolazione, organizzati da enti che permettano l’accesso a chiunque ne faccia richiesta, sia per le situazioni di “emergenza” ma anche in preparazione di una vita da futuri genitori.

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