È stato comunque bello non avere padroni politici, editori-padroni e tutele accademiche (Nicola Zitara)
L’unità d’Italia, nascita di una colonia, Memorie di quand’ero italiano e Negare la negazione sono alcuni dei tanti e importanti saggi in cui Nicola Zitara (Siderno, 16 luglio 1927 – Siderno, 1 ottobre 2010), considerato il padre del meridionalismo contemporaneo, ha riportato, con stile graffiante e senza giri di parole, il suo pensiero sull’epoca borbonica e sulla nazione italiana. Una poderosa produzione intellettuale per una posizione ideologica chiara e coerente che ha sostenuto la sua intera attività di storico e di giornalista. «Siamo stati colonizzati con l’unità d’Italia; le Due Sicilie rappresentano le nostre radici identitarie e l’ultimo atto dell’indipendenza politica meridionale» sosteneva. «Nel 1860 l’hinterland napoletano, cioè la fascia territoriale che va da Salerno a Caserta e Nola, era l’area a più intenso sviluppo industriale dell’Italia pre-unitaria. Nessun’altra zona della penisola (né Torino, né Milano) poteva reggere il confronto. Anzi si può dire che allo stato degli studi non viziati da tendenziosità, l’Italia intera non raggiungeva il potenziale industriale installato in tale area».
Dello storico e del pensatore libero, ne parliamo con la figlia Lidia, giornalista e scrittrice.
Come possiamo sintetizzare in pochi aggettivi il pensiero di Nicola Zitara?Rivoluzionario, scomodo, eterodosso, morale, equanime.
Il suo pensiero è ancora attuale nella sua interezza o possiamo considerare superate alcune cose? E viceversa qual è la parte che più appare trascurata anche dai meridionalisti e che invece mantiene un’attualità stringente? Nicola Zitara ha analizzato fatti storici e proposto nuove soluzioni. Le sue analisi storiche e finanziarie, in particolare di quanto fu rovinoso il Fascismo in Calabria, dell’incidenza negativa del fenomeno ‘ndranghetistico, della collusione tra il potere istituzionale e quello criminale (funzionale a ogni stato con economia capitalista), per non parlare dell’esame storico ed economico del processo di unificazione nazionale, sono ancora più che attuali. Anzi, sono finanche poco noti, forse la difficoltà intrinseca dell’argomento non aiuta, ma certamente il suo pensiero non è sostenuto dall’editoria di grido, non è diffuso: i giornalisti, gli economisti e gli storici più colti lo conoscono, ma non ne fanno cenno. È assolutamente fuori dal mainstream culturale di oggi, che ci vuole colonia dell’Europa, e quindi penalizzato e quasi nascosto dalle stesse case editrici che ne hanno pubblicato i libri. I pochi che hanno scoperto cosa abbia significato per il Sud l’Unità d’Italia, lo hanno fatto tramite il libro Terroni di Pino Aprile, che ha saccheggiato gli articoli di mio padre presenti sul sito “Fora”, citandolo appena nella bibliografia. Ma va bene così: l’importante è che tutti riscopriamo da dove veniamo e cosa ci ha portati qui. Se tutti ne fossimo pienamente consapevoli, la nazione Italiana come oggi la conosciamo, non esisterebbe più. Francamente non ritengo la separazione del Sud come un’idea superata quanto un proverbiale treno già passato. Ci fu una finestra in occasione delle elezioni europee del 2014, l’ultima corsa, diciamo, che è stata persa per numerose ragioni. Oggi non possiamo più fare nulla, o perlomeno per farlo occorrerebbe un atto di consapevolezza popolare così forte che ci porti alle urne a votare scheda bianca come in Saggio sulla lucidità di Saramago. Lo status quo fa comodo a molti, e almeno finché lo Stato terrà il Sud come una comoda risorsa da spremere, mantenendolo in un pur precario equilibrio, non si muoverà foglia. Solo se l’equilibrio cesserà a causa di decurtazione delle pensioni e dei salari, aumento dei prezzi, generale diminuzione e razionamento delle risorse, ci sarà una rivolta (non già una rivoluzione) che probabilmente comporterà una segregazione o una sanguinosa repressione da parte delle Forze Armate. Ci potrebbe salvare un leader, una sorta di “John Connor” del meridionalismo. Ma è un’ipotesi remota, seppur possibile. È invece sempre più chiaro che il Sud è destinato allo spopolamento e a diventare terra di transiti e conquiste. Fino alla fine mio padre insistette sull’importanza del piccolo commercio marittimo con il Vicino Oriente e con l’Africa mediterranea. Naturalmente le relazioni con il mondo arabo sono state deliberatamente inasprite al punto da rendere impraticabile questa opzione. Se si traccia una “ics” sul Mar Mediterraneo, al centro c’è Napoli. La vocazione commerciale del Sud è chiara, ma è piegata agli interessi delle economie transnazionali. L’attualità stringente è proprio questa: la voluta estromissione del Sud dai commerci. Cialdini disse: «Il Mezzogiorno non dovrà mai più intraprendere», e così è. Ancora oggi consideriamo Scipione il buono, Annibale il cattivo. A distanza di duemila anni. Il Piemonte ha vinto, il Regno delle Due Sicilie ha perso: la storia la scrive chi vince.
Qual è la sua “scoperta” storiografica più importante?
Senza dubbio quella sull’unificazione della nazione. «Fu una guerra non dichiarata» sosteneva.
Il meridionalismo ha “tradito” in qualche modo Nicola Zitara dopo la sua morte?
Anche prima. Ma dopo molto di più.
Nicola Zitara non ha mai smesso di studiare e ricercare, avrebbe portato tasselli nuovi al suo pensiero se ne avesse avuto il tempo? E quali?
Di certo. Le persone dalle menti così laboriose non si fermano se non perché la vita le ferma. Non ho la sfera di cristallo, non so dire che tasselli nuovi avrebbe potuto introdurre. Su molte cose eravamo in disaccordo: papà ignorava quasi del tutto lo sconvolgimento climatico, e quanto peso avesse questo sul commercio e sugli accordi tra le nazioni. Non era attento ai social, e non avrebbe di certo immaginato la cosiddetta “Primavera araba” impostata su twitter. Di difetti ne aveva parecchi, e nell’ultimo periodo non aveva la forza per aggiornarsi e incoraggiare le molte persone che lo venivano a salutare. Se avesse seguito i miei consigli, avrebbe potuto scrivere un romanzo ucronico in cui il Piemonte ha perso la “guerra non dichiarata”. Spesso gli ho fatto notare quanto l’arte comunichi un messaggio velocemente e in modo facile da memorizzare. Lui avrebbe di certo insistito sulla linea separatista, se non attraverso un progetto politico, anche solo attraverso la pubblicazione di scritti liberamente fruibili in rete. Sicuramente avrebbe avviato un sito proprio, disgiunto da “Fora”, cosa che avrebbe già voluto fare nel 2004 per incompatibilità di pensiero con il titolare del sito. Se avesse avuto forza e danaro avrebbe aperto un giornale. Lo sussurrò all’orecchio di Pino Aprile, quando venne a trovarlo, e sembra che ci sia un progetto in tal senso, ma assai diverso da ciò che avrebbe desiderato mio padre. Credo che se ne avesse avuto il tempo, avrebbe cercato un discepolo che potesse seguire le sue orme e continuare il suo lavoro di divulgatore.
Quali dei suoi libri dovrebbero essere letti o riletti oggi? L’unità d’Italia nascita di una colonia e Negare la negazione. Quest’ultimo è una lettura difficile per i non specialisti, ma è il cuore del suo pensiero.
